Vendée Globe 2020: il diario

Partenza: “In viaggio con il metodo di Cartesio”

«Da Cartesio ho appreso il metodo, tornerò diverso. Parto alla scoperta di me, tornerò trasformato. Mi lascerò sorprendere da una rotta affascinante, non ho mai doppiato un capo né solcato il Pacifico. La paura più forte è la grande botta, magari contro una balena o un oggetto galleggiante.

L’obiettivo? Tornare. Lo sponsor crede in me da tredici anni, mi sono trasferito in Francia per navigare e il progetto Vendée parte due stagioni fa. L’esplorazione era nella mia indole di bambino, mi sento preparato. Alla barca mi rivolgo con il pensiero ma soprattutto la ascolto quando mi parla».

 


 

VENDÉE GLOBE, PRIMA SETTIMANA: “Nel mare nervoso ripenso a Terzani che mi ha indicato la strada. È ancora notte e non riesco a percepire il limite fra cielo e mare, alcune scelte prese nel silenzio del cuore hanno il potere di cambiarti la vita. Come quella che feci nel 1994.”

 

Mercoledì, 11 Novembre 2020, ore 04.50 UTC
Posizione di Prysmian Group: 43°23.00’N 15°47.18’W
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud, Sud West, 30 nodi (55,6 km/h) con punte fino a 40 nodi, altezza onda 3 mt con frequenza ogni 5 secondi. Temperatura aria: 16°. Temperatura acqua: 17°

Luogo abitato più vicino a terra: Santiago di Compostela, Spagna, 595,61 Km
Menu di ieri: 

  • Biscotti senza zucchero, che a casa chiamiamo “palmeritas”
  • Pasta con sugo alla norma, condita con l’olio regalato dal nonno e del parmigiano grattato portato dall’Italia da mia mamma
  • Prosciutto del casentino con il pane di Brest regalato da François
  • 1 mela golden
  • Reillet di tonno sul pan carrè scaldato in padella
  • 1 liofilizzato uova strapazzate e formaggio
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Siamo ancora nel secondo giorno di navigazione. Il Vendée Globe sulla cartografia è iniziato domenica alle 14:20, con 1 ora e 18 minuti di ritardo causati dalla nebbia. Nebbia che ho incontrato di nuovo, ma che adesso non c’è più. È ancora notte, non riesco a percepire il limite tra il cielo e l’oceano.

A volte vedo la luna che si affaccia dietro le nuvole. Brilla comunque, nel buio lontano dalle luci terrestri. Allargarsi ad Ovest significava prendere più vento e più onda, lo sapevo. Il mare qui è nervoso, lo attraversiamo e non è contento. Si vendica attraversando lui stesso la barca, salendo a bordo. A volte sembra voglia prendere il mio posto. Fra non molto riceverò i file meteo. Dovrò mettermi a studiare la situazione, prendendo la conseguenza delle scelte fatte in questi due giorni di navigazione.

In mare si sceglie in continuazione, soprattutto all’inizio di una regata. La rotta da seguire, le vele, l’abbigliamento, i primi pasti… La configurazione della barca al momento della partenza si sceglie qualche giorno prima, mentre la rotta si sceglie la mattina della partenza. Si sceglie dove andare, quale vento cercare, da quale vento farsi spingere… Una scelta che sembra piccola nel confronto di un giro del mondo, ma che potrebbe influenzare l’intero andamento della regata.

La scelta

Alcune scelte, apparentemente ininfluenti, prese in silenzio dentro il cuore, hanno in realtà il potere di cambiare il resto della tua vita. In qualche modo l’ho sempre sentito… dentro me stesso c’è sempre stata questa convinzione.

Mi trovo a Tunisi e sto aspettando un amico all’aeroporto per iniziare un viaggio assieme. In realtà lui non partirà mai per un grave imprevisto. Sono solo, ho diciotto anni. Non ho mai viaggiato all’estero, non conosco le lingue e nella mia famiglia nessuno ha un vissuto fuori dall’Europa. Sono all’aeroporto. È il 1994. Internet e cellulare non sono ancora diffusi. Quando agli arrivi non vedo sbucare il mio compagno di viaggio, che doveva essere la mia guida, mi impensierisco.

Ho due strade, una in discesa: tornare a casa fuggendo dallo sconosciuto. Una in salita: proseguire sprofondando nello sconosciuto. In quel momento l’intuizione mi sussurra che questa scelta si ripercuoterà per tutta la mia vita. Tiro un sospiro e scelgo la salita.

Vent’anni dopo trovo un bellissimo video di un signore barbuto che dice: «…E dinanzi a un bivio di una strada che va in basso e una che va in alto, prendi sempre quella che va in alto, ti troverai sempre meglio*».

Oggi penso che quella scelta mi abbia regalato un cammino di sorprese e di scoperta. Oggi sprofondo nello sconosciuto. L’uomo tende a scegliere con la ragione, e così facendo nelle scelte difficili trova spesso una parità nella bilancia che lo mette in conflitto, perché non sa più dove andare, non sa più come agire. È in queste situazioni di stallo che, a mio avviso, deve intervenire l’intuizione, quella capacità di sentire dentro noi stessi una profonda convinzione su quale sia la direzione da seguire. Credo che questa profonda convinzione vada coltivata attraverso un attento ascolto di noi stessi, cosa che è possibile fare qui, dall’immenso blu. Adesso invio questa mail, e torno a studiare i file meteo… un’altra scelta mi aspetta.

(*ndr : L’uomo barbuto è Tiziano Terzani)

 


 

VENDÉE GLOBE, SECONDA SETTIMANA: “La paura mi accompagna nel cuore dell’oceano. La prima settimana di navigazione è stata dura. Abbiamo incontrato Thêta, un bel nome per una depressione tropicale che nella sua parte più robusta ha raggiunto anche 60 nodi di vento, che sarebbero oltre 111 Km/h.”

 

Mercoledì, 18 Novembre 2020, ore 09.00 UTC
Posizione di Prysmian Group: 10° 16’ 32’’ N 029° 49’ 43’’W
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord Est, 14 nodi ( 25,9 Km/h) con raffiche a 20 nodi, altezza onda 1,9 mt con frequenza ogni 12 secondi, temperatura aria 27°, temperatura acqua 27°
Luogo abitato più vicino a terra: Sao Filipe, Capo Verde, 742,5 Km

Menu del giorno: 

  • Uova «occhio di bue» con prosciutto del Casentino e formaggini come quelli che mangiano i bambini, accompagnato da pane in cassetta riscaldato in padella
  • Cous-cous con paté di zucchine, filetti di acciughe, l’olio regalato da mio nonno Arsiero
  • Una mela golden, 1 pompelmo
  • Friselle pugliesi con pomodori secchi e peperoncino, e l’olio regalato da mio nonno Arsiero
  • Un panino al muesli
  • Pollo al curry con patate *
  • Sali minerali e vitamine *
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

La prima settimana di navigazione è stata dura. Abbiamo incontrato Thêta, un bel nome per una depressione tropicale che nella sua parte più robusta ha raggiunto anche 60 nodi di vento, che sarebbero oltre 111 Km/h. Nella pancia di una barca a vela in carbonio, che fa da cassa di risonanza, può fare paura. La stanchezza può contribuire a sentire maggiormente la paura.

La prima settimana di navigazione sono arrivato ad alti livelli di stanchezza: la mancanza di sonno, spostare i sacchi per «matossare», cioè spostare tutto il peso possibile all’interno della barca in base all’andatura) significa spostare 200kg di peso ad ogni virata, il rumore delle onde che si infrangono ritmicamente nel pozzetto, il movimento violento della barca, la necessità di reggersi in continuazione, il freddo e l’umidità della pioggia e del mare che senza tregua spazza la coperta e la pulisce da qualsiasi granello di polvere. Ho sentito la paura stringermi la mano, ma la riconosco, siamo amici ormai. La sua compagnia non mi disturba, mi rassicura. Mi ricorda il limite.

La paura in mare

Per molti di noi la paura è sinonimo di debolezza, insicurezza e mancanza di coraggio. Spesso la paura si attacca dove c’è rischio o semplicemente ignoto. Per arrivare fino a qui ho dovuto accettare di convivere con la paura. Ho dovuto ammettere di essere pieno di paure. Prima di partire per il Vendée Globe la paura era di non riuscire a montare quest’impresa, di essere un padre agli occhi dei miei figli che non è riuscito ad andare a fondo a quel desiderio di fare il giro del mondo. Di ritrovarmi a metà, sospeso come un babà.

Oggi la mia paura è non terminare il giro, oppure banalmente non tornare a casa dalla mia famiglia a causa di un incidente. La paura è salita a bordo di questa barca con me, non appena ho mollato le cime da Le Sables d’Olonne. Le paure sono tante e di varia natura. Perdere la vita, perdere la barca, perdere la fiducia dei miei sponsor e quindi perdere il lavoro. Perdere comfort, perdere certezze. E Thêta la scorsa settimana ci ha messo del suo, mi ha chiamato per nome e mi ha parlato tra le onde del mare ricordandomi queste paure. Quasi mi conoscesse.

 

Photo © Jean-Marie LIOT / Prysmian Group

 


 

VENDÉE GLOBE, TERZA SETTIMANA: “Con la calma piatta, ho guardato dentro di me. Ho incontrato quasi tutti i sistemi meteorologici: fronti freddi, anticicloni, groppi, calme senza vento… Proprio durante una di queste calme, che ho dovuto subire ieri, ho avuto l’occasione di riflettere su quello che sto facendo.”

 

Posizione di Prysmian Group: 26°14’19”S 27°53’01”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud Sud Est, 8 nodi ( 14,8 Km/h) raffiche di 11, nuvoloso con pioggia, altezza onda 1,5 mt con periodo moto ogni 11,3 secondi. Temperatura aria: 21°. Temperatura acqua: 22°
Luogo abitato più vicino a terra: Rio de Janeiro, Brasile, 1600,36 Km

Menu del giorno:

  • Pomodori secchi rinvenuti, parmigiano grattato, uova e taralli Tiberino all’olio d’oliva.
  • Riso basmati con sugo di melanzane e olio del nonno Arsiero
  • 1 pompelmo, 1 succo di frutta multivitamine
  • Friselle pugliesi con pomodori secchi e peperoncino, e l’olio del nonno Arsiero
  • Biscotti “Ventaglini”, che mi ha portato mia mamma da Firenze
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

La situazione attuale

Sono passate oltre due settimane dalla partenza per questo giro del mondo in solitario, l’8 novembre scorso. Due settimane tra cielo e mare, quello dell’Oceano Atlantico. In queste due settimane ho percorso 9.914 km, me ne restano 36.749 teorici. Ho incontrato quasi tutti i sistemi meteorologici: fronti freddi, anticicloni, groppi, calme senza vento… Proprio durante una di queste calme, che ho dovuto subire ieri, ho avuto l’occasione di riflettere su quello che sto facendo… un viaggio da solo.

Viaggiare da solo

Io sono sempre stato un viaggiatore. Il viaggio mi ha sempre affascinato. Mi ricordo una volta, da piccolo, andai a casa di mio zio Piero. Era tornato da un viaggio in Nepal – Sri Lanca – Maldive e aveva fatto tante diapositive. Io avevo credo 8 anni e rimasi affascinato a guardare tutte le foto che aveva fatto, proiettate sul muro di casa sua.

Quella fu la prima volta che mi resi conto che esistevano veramente delle civiltà diverse, delle culture diverse. Colori, sapori, profumi… un mondo diverso da quello che io vivevo. Ed è li che, a 8 anni, decisi che io da grande avrei fatto il viaggiatore. Ho 18 anni, sono diventato da poco maggiorenne. Sono in viaggio in Tunisia, da solo per delle circostanze inaspettate. Sono su un autobus, sto guardando fuori dal finestrino e mi rendo conto che, in realtà, viaggiare da solo significa fare tre viaggi.

I tre viaggi

Il primo è un viaggio nell’esterno – un viaggio di scoperta, di conoscenza ed esplorazione di un mondo nuovo. È il viaggio più comune, che lascia ricordi, ispirazioni, racconti…

C’è però un secondo viaggio, quello che intraprende solo il viaggiatore solitario, per il quale l’unico modo per comunicare con gli altri è aprirsi al prossimo e conoscerlo: quando viaggi da solo in un paese con una cultura diversa, devi imparare a capire chi ti vuole essere amico e chi, invece ti vuole rubare. Questo è un viaggio che permette di crescere, di lavorare sulla propria relazione con il mondo. A me il viaggiare da solo ha permesso di sviluppare una grande sensibilità nei confronti dell’altro.

E poi c’è il terzo viaggio, quello che fai dentro te stesso. È il guardare dentro te stesso mentre ti sposti in pullman da una città all’altra e guardi dal finestrino, guardi il paesaggio, poi il tuo riflesso sul vetro, poi dentro te stesso. Guardi il tuo futuro, il tuo presente, il tuo passato. Ripensi alla tua vita ripensi alle cose giuste che hai fatto, a quelle sbagliate, ripensi a ciò di cui ti vorresti scusare, a ciò che avresti voluto dire e non hai detto o che avresti voluto fare e non hai fatto.

Viaggiare da solo a 18 anni

Ho 18 anni e ho terminato il mio primo viaggio in solitario. Sono diventato viaggiatore professionista. Quando parto lascio il cellulare a casa: mi rifiuto di partire con il cellulare perché non voglio comunicare. Mi voglio concentrare sulle me stesso. Scrivo soltanto mail per dare notizie a casa e chiamo una volta alla settimana, per far sentire la mia voce.

La mia vita si struttura su tre fasi: 6 mesi all’anno studio instancabilmente per dare tutti gli esami all’università; tre mesi lavoro; gli altri tre mesi viaggio per conoscere il mondo, gli altri e me stesso. E i viaggi si sono susseguiti ritmicamente: – 2 mesi in India, – 3 mesi da Los Angeles a Panama passando per Messico, Guatemala Honduras Nicaragua Costa Rica, senza mai prendere un taxi ma solo mezzi pubblici – 1 mese e mezzo in America del Sud (Perù, Ecuador, Bolivia) e lì incontro delle persone che avevo conosciuto nel viaggio precedente e che stavano girando il mondo. Poi 3 settimane in Nepal – 2 mesi in Camerun – 2 settimane in Marocco – altri 2 mesi in India per scrivere la tesi di laurea…

Nel primo viaggio in Messico prendo una malattia fortissima, una forma di dissenteria gravissima con una febbre molto alta. Mi ritrovo in casa di una « curandera » che si prende cura di me con riso e mele per due settimane. Grazie Donna Rosita.

Nella Selva Lacandona, in Chapas, vivo due settimane con gli aborigeni in una casa di legno. Prendo l’acqua al fiume e la faccio bollire per poterla bere.

Nel secondo viaggio in India faccio amicizia con tante persone dell’America Latina e il Messico diventa quasi una meta fissa: di viaggi lì ne farò quasi 10, ma non per esplorare o conoscere gli altri: per ritrovare gli amici e, sempre, incontrare me stesso. Alla fine di ognuna di queste esperienze, mi sono sempre reso conto che mi veniva fatto un regalo: l’ascolto sopraffino di me stesso.

Viaggiare da solo per un paese sconosciuto, chiudendo con la routine a cui ero abituato, mi ha permesso di entrare in una dimensione nella quale potevo finalmente ascoltare me stesso, nella quale potevo finalmente chiedermi: quali sono i miei sogni ? Quali i miei desideri ? Quali le mie paure, quali le mie angosce ? Una grandissima occasione di introspezione.

Viaggiare da solo adesso

Un altro viaggio in solitaria

È passato molto tempo. Sto guardando le stelle dell’Emisfero Sud, al largo delle coste del Brasile. Sto facendo un viaggio da solo. Un viaggio che se tutto va bene durerà quasi 3 mesi. Non prendo mezzi pubblici, solo una barca, l’IMOCA Prysmian Group, la “mia barchetta”. Non ho lasciato il cellulare a casa. Anzi, ne ho portati quattro, ma parlo pochissimo via satellitare con il mondo esterno e intorno a me c’è tutto mare e cielo… E ci sono io.

Mi si ripresenta con una consapevolezza diversa la possibilità intensa di guardarmi dentro. È un’occasione che voglio sfruttare per interrogarmi sul rapporto con i miei figli, sulla mia vita futura, su cosa conta veramente per me, quali sono gli obiettivi importanti… Ma sono partito in maniera completamente diversa. Sono sposato, ho due bambini che mi aspettano che hanno bisogno di sentire il loro papà. Forse non ho neanche più questa necessità di tagliarmi completamente fuori dal mondo. Sono parte di esso.

 


 

VENDÉE GLOBE, QUARTA SETTIMANA: “Così il mare ci insegna a gestire gli imprevisti”

 

Mercoledì, 2 Dicembre 2020, ore 07.00 UTC 
Posizione di Prysmian Group:
 41°20’13”S 16°06’28″E
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest, 24 nodi ( 44 Km/h) raffiche di 33. Cielo sgombro, altezza onda 3,6 mt con periodo moto ogni 8,5 secondi. Temperatura aria: 13°. Temperatura acqua: 15°
Luogo abitato più vicino a terra: Suiderstrand, una località costiera sudafricana situata nella municipalità distrettuale di Overberg nella provincia del Capo Occidentale, distante 794,37 Km

Menu del giorno:

  • Uova con prosciutto del Casentino
  • Pasta con bottarga e olio del nonno Arsiero
  • Risotto carnaroli melanzane e piselli, gentilmente offerto da Tiberino
  • Biscotti di riso soffiato e cioccolato
  • Due «fruttini», come chiamiamo a casa le composte di frutta
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Non sono io che ho scelto il mare. È il mare che ha scelto me. E il mare può essere affascinante, accogliente, liberatorio, ma anche ostile, chiuso, pauroso.
E sempre imprevedibile. 
Sono passate oltre tre settimane dalla partenza da Les Sables d’Olonne, in Francia, l’8 novembre scorso, direzione il mondo.
Tre settimane nelle quali sono successi vari incidenti alla flotta che partecipa a questo Vendée Globe. Fabrice Amedeo e Jeremy Beyou sono rientrati a Les Sables per riparare, riuscendo per fortuna a ripartire; Kojiro Shiraishi ha dovuto riparare una vela, Isabelle Joske i candlieri, Thomas Rouyant è dovuto salire in testa d’albero, cosi come Sébastien Destremau. Alain Roura ha avuto problemi di chiglia. Nicolas Troussel ha disalberato,e ha dovuto ovviamente abbandonare. Alex Thompson ha rotto il timone, e ha dovuto abbandonare.

E lunedì notte Kevin Escoffier ha perso la barca, spezzata in due, è affondata in pochissimo tempo. È stato salvato da Jean Le Cam. E poi ha sorriso, per sé stesso. E poi ha pianto, per la barca. Conosciamo tutti le statistiche del Vendée Globe. Parlano chiaro: 138 skipper sono partiti, solo 71 sono arrivati. L’imprevisto è sempre in agguato. A volte è superabile, a volte no.

L’imprevisto

L’imprevisto è per sua natura qualcosa che non si può prevedere, qualcosa che il mare ti può infliggere all’improvviso, una sanzione a volte piuttosto importante. L’imprevisto può essere una parte meccanica che non è stata revisionata bene o non è stata fabbricata bene e che cede, o semplicemente un incidente: farsi male per una scivolata in barca ma anche una collisione con un oggetto non identificato. Un container semi sommerso, affiorante, in un secondo può cambiare tutto, può fermare tutto.

Magari sei al telefono con i bambini, stai scherzando, sei entusiasta della tua regata, ben posizionato, ed a un certo punto, in un secondo, in un secondo il tuo sogno si infrange… In un secondo chiudi il telefono con la telefonata bellissima con i tuoi figli e ti prepari a evacuare la barca perché stai prendendo acqua da tutte le parti.

In mare tutto è amplificato

L’imprevisto in mare è sicuramente amplificato, più forte dell’imprevisto a terra. A terra viviamo in un livello di comfort tutto sommato importante, abbiamo i mezzi per poter chiedere e ottenere aiuto relativamente in tempo. Se abbiamo un problema in macchina ci spostiamo sulla destra, mettiamo le quattro frecce, prendiamo il nostro cellulare e chiamiamo un carroattrezzi. La notte siamo a casa sotto le coperte, lontani dal pericolo.

In mare non è così. Non ci si può mettere sulla destra, non ci sono le quattro frecce e a volte la persona più vicina che ti può venire a cercare è molto, molto lontana. È per questo che cerchiamo di avere una grandissima cura nello studiare il maggior numero di imprevisti e per questo partiamo con tantissimi pezzi di ricambio. Per cercare di fare fronte a ogni evenienza.

Il 101esimo caso

La cosa incredibile è che alla fine passiamo la vita a prepararci agli imprevisti e se ne studiamo 100 casi, alla fine il caso che si presenta è il 101esimo, quello al quale non avevi pensato. Ma è così, questa è la vita. Vita che ha sempre più fantasia di noi e che spesso pone in una situazione più complessa di quella che uno si aspetta.

A scuola di imprevisti, a scuola di vita

Sicuramente la barca è una grandissima scuola di imprevisti. Venire qua nel Grande Sud, un luogo sperduto e affascinante, potente e intimorente, fare una regata di questo tipo ti obbliga a imparare a convivere con gli imprevisti. Non è possibile prepararsi a tutti gli imprevisti, quello che si può fare è cercare di coltivare una grande elasticità mentale che permetta all’inventiva di attuare e alla voglia di continuare di essere sempre presente.

Al fine di continuare la propria regata e perseguire il proprio obiettivo. È necessario anche sviluppare una grande resistenza mentale. Quando vieni a sapere ce uno skipper che conosci, situato a qualche centinaio di miglia da te, è in pericolo, necessita aiuto che vorresti dargli ma sei lontano, quando sai che potrebbe succedere a te, proprio tra un secondo, hai bisogno di un mentale forte.

Per restare focalizzato sul bianco, e non sul nero. Per alimentare la luce, e non l’ombra. Essendo consapevole e attuando in maniera il più possibile priva di emozioni. Per questo motivo considero il navigare come una grande scuola di vita, nella quale una delle materie fondamentali è la gestione degli imprevisti.

 


 

VENDÉE GLOBE, QUINTA SETTIMANA:”Sento la voce della stanchezza, che mi dice… Arrenditi a me. Ora però siamo in una fase nella quale è necessario navigare da buon marinaio cercando di evitare il maggior numero di sollecitazioni possibili all’imbarcazione”

 

Posizione di Prysmian Group: 38°36’87’’S 68°46’66”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud Ovest, 25 nodi (46,3 Km/h) raffiche di 35, qualche rovescio, altezza onda 4,5 mt con periodo moto ogni 8,5 secondi. Temperatura aria 11°. Temperatura acqua 13°.
Luogo abitato più vicino a terra: L’Isola della Desolazione, nell’arcipelago di Kuergelen. Mi dicono che nell’Isola c’è un golfo che si chiama come quello dove vivo adesso: il Golfo di Morbihan. Buffo. Disto 1.243,45 km da questo golfo e 11.896,08 km da quello che conosco bene. In linea d’aria.

Menu del giorno:

  • Cioccolato biologico di modica
  • Pasta con pomodoro e funghi porcini
  • Pollo tikka con riso
  • Frutta secca mista
  • Succo di frutta al pompelmo
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
Oceano Indiano

Questo è il mio Vendée Globe, il nostro Vendée Globe, perché un’esperienza di questo genere, se non è condivisa, perde di valore. Per questo sono grato di poter raccontare ciò che vedo, ciò che percepisco, ciò che sento, fino ai miei pensieri più profondi attraverso le immagini, i video, la scrittura… Questa è una competizione. Una delle più dure e complesse per l’eterogeneità degli elementi che la influenzano.

Il giro del mondo in solitario senza assistenza e senza scalo. Ed è proprio per questa sua complessità e durezza che prende una dimensione diversa, diventando da competizione in solitario a esperienza collettiva. Una regata in solitario che va vissuta tutti insieme.

Stiamo lottando per il nono posto. Stiamo, io e la mia barca, io e il mio team, io la mia barca il mio team e tutti coloro che vogliono salire a bordo con noi, anche solo per dare un’occhiata. Siamo in una fase nella quale è necessario navigare da buon marinaio cercando di evitare il maggior numero di sollecitazioni possibili all’imbarcazione: mi voglio prendere cura di lei. Deve durarmi. Deve durarmi un giro del mondo. Voglio arrivare, il più velocemente possibile. E dei due obiettivi il primo e più importante è proprio il primo.

Sono da giorni e giorni nell’Oceano Indiano. Dentro l’Oceano Indiano direi, perché questo è un oceano che con le sue onde ti avvolge, ti spinge, ti prende a schiaffi. L’Oceano Indiano è possente. Con i suoi 5 metri d’onda gioca a sfinirti. Ti costringe a stare rinchiuso, ti regala pochi raggi di sole. E ti parla in continuazione. Ti urla, direi. I suoi cambiamenti di umore costringono a tante regolazioni che sfiniscono, in queste condizioni, in una barca come questa. Eppure è maestoso. Se dovessi fare un paragone, lo paragonerei al David di Michelangelo: muscoloso, deciso, con lo sguardo fermo.

Lo guardo, resisto, chiuso in questi due metri quadri scuri, dove c’è tutto. Il letto/branda che si alza e si abbassa e si può spostare da un lato all’altro a seconda dell’inclinazione della barca. Il tavolo da carteggio, qui una piattaforma digitale dotata di computer, che può ruotare a seconda del lato nel quale la voglio utilizzare. Il quadro di controllo, dove ci sono tutti gli strumenti, quadro che ammiro quasi fosse un’opera d’arte degli Uffizi tanta attenzione devo dare a tutti i led che lo compongono. La cucina, che è un fornellino che slitta dietro un ripiano nascondendosi quando non necessario…

La stanchezza

La voce della stanchezza

Tutto è qui. Io sono qui. La stanchezza mi trova qui. Eccoti, ti vedo stanchezza ancor una volta sei tu che mi vieni a trovare, che mi vuoi rapire, prima che sia io che volontariamente voglia costituirmi a te. I segnali della tua presenza li riconosco.

Primo di tutti ami annebbiarmi la vista. Gli occhi iniziano a sbattere più del dovuto, i pensieri si appannano ed iniziano ad essere poco pertinenti al presente. Inizi a sussurrare la tua ninna nanna nelle mie orecchie: la tua voce è fioca quasi impercettibile, ma la sento anche in mezzo alle urla dell’Oceano Indiano. Non devo concentrarmi per seguirti nel tuo flusso ammaliante… La mia concentrazione è sbiadita.

Da un lato voglio continuare a tenere duro su tutte le cose che devo fare, dall’altro ho voglia di arrendermi, di ascoltare quella voce di ovatta che è bravissima a convincerti che tutto ciò che devi fare lo puoi rimandare, perché lei vuole stringerti adesso, non può aspettare. Vuole averti tutto per sé. «Ti concedo solo pochi attimi, ma poi dovrai arrenderti a me, uomo, o la mia voce diventerà ferma e potente fino a farti inginocchiare».

Vieni a prendermi, sono qua, mi arrendo a te soddisfatto del mio lavoro, abbracciami ed offrimi un sonno ristoratore, ci ritroveremo spesso in questo viaggio… Non è una nemica. La stanchezza è qualcosa con cui si può discutere, contrattare, ma contro la quale non si lotta, se non quando veramente necessario. La sua voce ti parla di limiti che stai superando e se non l’ascolti, ti rapisce ed è peggio. I suoi rapimenti sono la causa di molti incidenti…

 


 

VENDÉE GLOBE, SESTA SETTIMANA: “Ago e filo in mezzo all’Oceano Indiano e poi ho pianto. Non potevo più avvolgere la vela, il vento stava aumentando. Dovevo effettuare una riparazione d’emergenza che, per fortuna è riuscita.”

 

Mercoledì, 16 Dicembre 2020, ore 07.00 UTC
Posizione di Prysmian Group: 48°14’51’’S 122°36’46”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord/Ovest, 17 nodi (31,5 Km/h) raffiche di 21, cielo parzialmente coperto, altezza onda 2 mt con periodo moto ogni 9 secondi, Temperatura aria 9°. Temperatura acqua 8°.
Luogo abitato più vicino a terra: Albany, Australia, 1.563,95 km, in linea d’aria.

Menu del giorno:

  • Apple and cinnamon breackfast
  • Pasta con fagioli
  • Tarallini all’olio Tiberino e Prosciutto Patanegra, in onore del mio amico Quique
  • Frutta secca mista
  • Succo di frutta all’arancia
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
Mare grosso

Sono ancora nel sud dell’Oceano Indiano. Un Oceano possente, così maestoso che non si rende conto se ci siamo no, se navighiamo con le nostre barchette, così grandi per noi, così un nulla per lui. Lui è poderoso, e questo lo rende insensibile. Sul piatto della bilancia non pone emozioni. Il suo piatto è leggero, e sale in alto.

Da lì ci osserva. Noi siamo piccoli, e questo ci rende sensibili. Posti sull’altro piatto della bilancia, scendiamo in basso, e ci immergiamo in un turbinio di emozioni. Dopo Capo di Buona Speranza, navigavo in un flusso da Sud-Ovest di circa 30 nodi, con 4 metri di onda e non volevo farmi staccare dalla flotta.

Avevo deciso di mantenere il Code 0, volevo sfruttare tutto il vento disponibile. Ma il vento ha continuato i suoi capricci e ha iniziato ad aumentare le sue raffiche fino a oltre 30 nodi. Era il momento di riavvolgere la vela, una manovra che avevo fatto più volte, per la quale mi sentivo abbastanza sereno.

L’imprevisto

Ma qualcosa di inatteso è successo. La manovra si compie tirando una cima, chiamata “furling line”, con un winch posto nel pozzetto. Il movimento di questa cima, grazie ad una piastra posta ai piedi della vela, genera la rotazione e quindi la chiusura della vela. Sempre immerso nel rumoroso silenzio di questo Oceano, le cui urla ho imparato a isolare, concentrato sulla voce della barca, che mi parla attraverso tanti rumori, mi sono per fortuna accorto subito che qualcosa non andava, e non ho continuato a tirare sul winch.

Sono andato subito a prua, e ho visto le due estremità della furling line sbattere al vento. La vela sbatteva al vento. La furling line si era rotta in due. Non potevo più avvolgere la vela, il vento stava aumentando, e io mi trovavo con questa vela che sbatteva destra e a sinistra, indomita, senza poterla chiudere.

Una situazione molto pericolosa, quando si naviga su questo tipo di barche, barche di oltre 18 metri di lunghezza e quasi 6 di larghezza, barche che pesano 8 tonnellate di stazza. Dovevo agire in fretta perché più tempo fosse restata in quelle condizioni, più possibilità avevo che si spaccasse in mille brandelli con un grosso rischio di rovinare la barca, causando forse l’abbandono della regata. L’unica cosa da fare in quel momento era a mettermi a prua e cucire le due estremità della cima. Un’operazione non così semplice, né breve.

Ago e filo

La soluzione

Presa la decisione, sono rientrato all’interno della barca, ho preso ago e filo, sono andato a prua, mi sono legato e ho cominciato a cucire. I frangenti in quel momento erano importanti, l’acqua spazzava completamente il ponte e nonostante il colletto di neoprene, sentivo le gocce che passavano dal collo scendevano lungo il petto fino all’ombelico.

Le onde arrivavano da tutte le parti, mi prendevano di schiena e entravano sottili lungo il pantalone, lungo il polpaccio, dentro gli stivali. Nonostante fossi protetto, l’acqua entrava dappertutto. Avevo le mani gelate, ma la concentrazione era tutta su quell’ago, su quel filo, su quella cima. Il tempo era come sospeso. Non dovevo fare in fretta: dovevo fare bene. Una volta terminata la cucitura, ho ricontrollato la cima e mi sono reso conto che la cima si era allungata, e non era più così facile rollare.

Con molta, molta delicatezza, al primo tentativo riesco a chiudere la vela in un modo non perfetto, ma soddisfacente. A quel punto mollo subito la mura, tolgo l’hook, sblocco la lock in testa d’albero e riesco a mettere la vela sul ponte. Dopo aver rimpacchettato la vela, ho sfilato la furling line passando un messaggero: dovevo ripassare tutta la calza che avevo perso all’interno dell’anima utilizzando un gerlo per stringere la cima da un capo all’altro, grazie a un nodo che si chiama “prusik”, un nodo da alpinista.

Dopo aver rimpacchettato la vela, sfilato la furling line, dopo aver rilanciato la barca sul nuovo assetto vele, rientrato in barca pronto a lanciarmi in circa 15 ore di lavoro, stanco e infreddolito, mi sono reso conto che ce l’avevo fatta, che ero riuscito a scampare il pericolo.

Lacrime, il valore del pianto

Mi sono reso conto di quello che avevo passato, sentito, pensato. Avevo pensato ai miei bambini e mi ero detto: «che ci fa il loro papà qui, non è un posto da papà questo». Lì, in quella che adesso è la mia casa di 2 metri quadrati, in quel momento, mi sono messo a piangere.

Mi sono messo a piangere liberando tutta la tensione, tutto lo stress e tutta l’adrenalina che mi avevano completamente invaso anima e corpo. Il pianto è un’azione, una reazione che rivela forti sentimenti e emozioni. Il pianto è un gesto nobile, sincero, puro. Eppure la società ci ha insegnato che bisogna vergognarci di piangere, soprattutto in presenza degli altri, soprattutto se siamo adulti, soprattutto se siamo degli uomini.

Il vero pianto è così nobile, liberatore, onesto. È la prima cosa che facciamo quando veniamo al mondo.

Sono un bambino, ho 4 anni. Non ho immagini, ma ricordo una sensazione. Ricordo di aver pianto tantissimo. Non so perché. Probabilmente volevo qualcosa o volevo fare qualcosa. Oppure non volevo fare qualcosa. A un certo punto, per farmi calmare, mia mamma mi dà un bicchiere d’acqua. Quel bicchiere d’acqua ha il potere di calmarmi: unendosi alle mie lacrime, crea una miscellanea incredibile che ristora il mio spirito e lava via lo stress. Rassicura.

Sono un uomo di 37 anni. Ho un turbinio di immagini, sensazioni, odori, rumori. Sono in sala parto. È nato il mio primo figlio. Ho appena assistito a un miracolo. E ho pianto. Tanto, ridendo, pieno di gratitudine, di amore, di gioia. La stessa identica cosa si replicherà, stupenda, preziosissima, per la nascita della mia bambina. Il pianto ci accompagna da quando nasciamo. Ci cura, ci libera, ci parla.

 

Photo © Jean-Marie LIOT / Prysmian Group

 


 

VENDÉE GLOBE, SETTIMA SETTIMANA: “Natale nel Pacifico, mi regalo carne liofilizzata e fredda. Mio nonno ha fatto la guerra ed è stato bellissimo ricevere da lui in dono il valore che lui ha dato alle cose: questo Giro del mondo mi sta insegnando che tutto è prezioso.”

 

Mercoledì, 23 Dicembre 2020, ore 04.30 UTC
Posizione di Prysmian Group: 55° 37’ 38’’S 173° 14’ 47”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord, Nord-Ovest, 12 nodi (22,2 Km/h) raffiche di 16, cielo nuvoloso, altezza onda 1,6 mt con periodo moto ogni 8,6 secondi. Temperatura aria: 8°.Temperatura acqua: 8°.
Luogo abitato più vicino a terra: Invercargill, Nuova Zelanda, 1590 km, in linea d’aria.

Menu del giorno:

  •  Anellini siciliani melanzane e piselli alla norma (di Tiberino)
  • Lenticchie alla marocchina
  • «Fruttini», come in casa chiamiamo le composte di frutta
  • Due thé caldi: nello yogi tea Ginko ho trovato un messaggio: «Everlasting impact with compassion and kindness is called love»
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
La voce dell’Oceano

Sono 44 giorni che navigo per questo Vendée Globe, in questo Vendée Globe. Perché più che in tutte le altre regate, in queste ci si entra dentro. E ti entra dentro. Ti entra dentro attraverso il rumore (che sia quello dei Quaranta Ruggenti, quello dei Cinquanta Urlanti, quello della vela che sbatte senza vento…), attraverso il caldo dell’Equatore e il freddo del Grande Sud, attraverso l’umidità della pioggia, delle onde, dell’aria.

Attraverso la paura che sale a bordo con te alla partenza e aumenta quando senti che qualcuno ha preso un oggetto semi galleggiante.
Questa regata ti entra dentro ad ogni colpo che la barca prende sulle onde. Queste barche sono come trasparenti: lasciano passare ogni rumore, ogni colpo… Quando vai a dormire a volte vieni assordato da fischi del vento che passa tra le sartie, dal rumore delle onde che sbattono sul carbonio e del carbonio che sbatte sulle onde perché la barca ci salta sopra.

I salti della barca

La barca salta in ogni direzione. Sempre, incurante di quello che stai facendo. Non è insensibile: sta semplicemente sopravvivendo in mezzo a un mare ostile. La barca salta mentre sei sdraiato sulla brandina: a volte mi è successo di trovarmi sospeso in aria, completamente in aria, tutto il corpo sollevato dalla brandina.

Il corpo è allora sempre in contrazione muscolare: non riesci mai ad abbandonarti, ti svegli sempre con qualche dolore. Al collo, alla spalla, al fianco… La barca salta mentre mangi: a volte ti salta il cibo dal cucchiaio ed è necessario mangiare con il viso molto vicino alla pentola. La barca salta mentre ti stai cambiando o ti stai lavando, ed è difficile sia restare in equilibrio, appigliarsi a qualcosa, considerando anche lo sbandamento…

Quando vai da sopravvento a sottovento devi fare del free climbing in arrampicata, perché sei sempre con 30 gradi di sbandamento. Il rischio di farsi male è alto. La barca salta anche quando devi fare una mail, facendoti sbagliare 1, 2, 10 volte tasto, perché ti salta la mano, salta il mouse. In questo tipo di barche tutto è un po’ scomodo, tutto è difficile: si muove tutto e ciò che a terra sarebbe semplice, qua diventa assolutamente difficile. Anche in condizioni meno estreme, anche quando il mare è più ordinato.

Spazio di vita minimo

Lo spazio di vita è minimo. All’interno della barca non puoi camminare e non puoi fare una passeggiata, perché non c’è spazio. Dentro è sempre tutto umido a volte accendi il motore per scaldarti. Tutto ciò che è leggermente poroso e non completamente impermeabile, diventa umido. La scomodità, maestra di vita. Queste esperienze, queste scomodità, insegnano tanto. Noi non ce ne rendiamo conto, ma viviamo in una zona di comfort, che è come un cerchio dal quale non siamo abituati ad uscire.

A volte dobbiamo uscire da questa zona e abbiamo subito una reazione: per lo più rifiuto, più raramente curiosità e ricezione. Ma una reazione comune a tutti credo sia che nel momento in cui rientri all’interno del cerchio della tua zona di confort, tutte le cose che hai sempre avuto e della cui importanza non ti sei mai reso conto, le apprezzi: il riscaldamento, la doccia calda, un letto comodo, coperte calde e non umide, un pasto caldo seduto su un tavolo con una sedia, mangiare sotto una lampada e vedere quello che stai mangiando, potersi riscaldare il cibo quando si è raffreddato, poterlo consumare con calma, comodamente seduto, potersi cambiare vestiti quando se ne ha voglia, lavarsi quando se ne ha voglia… sono tutte cose che riteniamo normali.

Il ricordo del nonno

Eppure, ci sono stati tempi in cui non lo sono state, persone per le quali non lo saranno mai, normali, queste cose, questi gesti. E penso alla guerra, di cui oramai sta sparendo la memoria viva, in Italia. E penso a mio nonno che l’ha vissuta e tanto me l’ha raccontata. E penso a chi non può muoversi o non è autosufficiente.

E penso a Axel, il cugino che non ho mai incontrato e che viaggia sempre con me durante le mie regate. E mi rendo conto di aver scelto quasi coscientemente di mettermi in una situazione scomoda e so benissimo che la mia situazione non è paragonabile minimamente a quella di mio nonno o a quella di Axel. Sono loro i veri coraggiosi.

Mio nonno da bambino mi ripeteva sempre, in toscano: «Eh… tu se’ nato con la camicia, te!». Aveva ragione. Lui aveva fatto la guerra, conosciuto le privazioni. Mangiava la carne solo a Natale. Aveva ricevuto solo un regalo nella sua vita, una specie di farfalla collegata ad una ruota che sbatteva le ali. Il pallone con cui giocava era fatto di vecchi cenci (gli stracci toscani).

Un mondo troppo comodo

Il mondo che la vita mi ha messo davanti è diverso dal suo. Troppo comodo. I miei genitori lavoravano entrambi ed io, a differenza di mio padre, non dovevo scaricare le pietre a quindici anni per portare il pane a casa.

Questa comodità ha iniziato presto a starmi stretta, da ragazzino. Mi è diventata presto insopportabile. «Non imparo niente in questo modo… non sarò mai capace di assaporare una crosta di pane e rendermi conto di quanto possa essere preziosa». Come l’acqua. La preziosità di poter bere dell’acqua quando si è assetati…

Le mie necessità basiche non hanno tempi di attesa, vengono soddisfatte in tempo reale. Quanta povertà intravedo in tutto questo. La vita la impari quando sei la sete e non c’è ombra del bicchiere d’acqua. Quando c’è un pane da dividere in 3 persone per tre giorni. Quando vuoi toglierti un capello dalle ciglia e devi chiedere a qualcuno che ti sorregga il braccio. È li la ricchezza. Queste sono le esperienze che rendono l’uomo ricco.

Il valore delle cose

Io questo l’ho imparato da mio nonno che ha fatto la guerra ed è stato bellissimo ricevere da lui in dono il valore che lui ha dato alle cose, a tutte le cose chi aveva, a quelle che avevo io. Vedere la sua scala di valori nei suoi grandi occhi azzurri per me è stato fonte d’ispirazione ed è forse quello che mi ha spinto oggi a prendere questa strada di ricerca dell’estremo.

La grande opportunità di potermi consegnare all’insicurezza, alla paura, alla scomodità, alla nostalgia, alla privazione, la melanconia e poter vivere ognuna di queste condizioni attraverso me stesso, Giancarlo. La grande opportunità di ritrovare e di dare il valore alle cose e ai gesti più scontati.

Siamo noi che decidiamo il valore di ciò che ci circonda. Alcuni lo fanno in maniera naturale. Altri di riflesso. Io ho bisogno di questo. Tra tre giorni sarà Natale, mangerò della carne pensando a mio nonno e anche se sarà liofilizzata e forse dovrò mangiarla fredda e al buio, con il viso dentro la pentola, sarà preziosissima.

 


 

VENDÉE GLOBE, OTTAVA SETTIMANA:La prima volta sull’albero a 27 metri: il test perfetto per un cacciatore di esperienze. L’anemometro rotto, la necessità di ripararlo, una sola via d’uscita: salire in cima all’albero, prenderlo, portarlo giù, farlo funzionare e riportarlo su. Un’avventura al limite, con una mano paralizzata per un attimo ma la mente che non smette mai di lavorare, trovare soluzioni e dare un senso a tutta questa ricerca in pieno Oceano.”

 

Mercoledì, 30 Dicembre 2020, ore 05.00 UTC 
Posizione di Prysmian Group: 54° 48’ 019’’S 123° 31’ 322”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest Nord-Ovest, 21 nodi (38,9 Km/h) raffiche di 33, cielo nuvoloso con rovesci, altezza onda 4 mt con periodo moto ogni 8,4 secondi. Temperatura aria: 6°.Temperatura acqua: 7°.
Luogo abitato più vicino a terra: una stazione spaziale…

Menu del giorno:

  • Bœuf bourguignon (Manzo alla borgognona) e patate
  • Thai red curry vegan
  • Succo di frutta alla mela
  • Un tè caldo
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
L’anemometro traditore

Circa due settimane fa ho riscontrato delle grosse anomalie nel mio anemometro, posto in testa d’albero. L’anemometro che utilizziamo è uno strumento che capta intensità e direzione del vento (funge quindi anche da anemoscopio). È uno strumento molto delicato, composto da una piccola banderuola di plastica girevole, che segnala la direzione del vento e un sistema a palette che girano in base alla intensità del vento. È uno strumento rischioso da manipolare, perché basta un colpo per disassarlo o romperlo.

Toglierlo e rimetterlo dalla testa d’albero, che è alto 27 metri, quando sei da solo, è molto rischioso. Le informazioni che capta — velocità e direzione del vento — sono quelle sulle quali il pilota automatico si regola per timonare l’imbarcazione al meglio, seguendo le variazioni del vento. Se imposto la rotta a 90° rispetto al vento reale, tutte le volte che il vento gira a sinistra o a destra l’imbarcazione mantiene l’angolo al vento di 90°. Con le vele regolate per navigare a 90° rispetto al vento, la velocità e la traiettoria dell’imbarcazione vengono ottimizzate.

Nel momento in cui il calcolo del vento non è più corretto, affidabile, il pilota non può svolgere il suo lavoro, perché non capta le oscillazioni, le accelerazioni e quindi sbaglia il calcolo del vento apparente, quello che fa avanzare l’imbarcazione. E perdi di velocità. Questo è quello che è successo a bordo di Prysmian Group.

Scalare l’albero

Ci sono stati dei momenti in cui il calcolo era così sbagliato, che dovevo navigare in modalità bussola, che significa dare al pilota la direzione verso la quale andare, senza curarsi delle oscillazioni del vento o di come questo incidesse sulle vele. Una situazione non performante.

A un certo punto è stato necessario farsi coraggio decidere di salire in testa d’albero per togliere l’anemometro. È stata la mia prima vera salita in oceano aperto in testa d’albero da solo su un IMOCA, e ho scoperto che gli allenamenti fatti in porto non sono stati sufficienti.

Ho provato un misto di apprensione, paura, timore. Mi sono fatto coraggio, ho organizzato tutto e chiamato l’organizzazione di regata per dirgli che stavo per salire. E sono salito.

“Ho fallito”

La mia organizzazione non è perfetta, arrivo in testa d’albero tirandomi con le braccia attaccato alla drizza più alta con il mio bansigo e assicurato attraverso un sistema di bloccaggio, il GriGri, e mi accorgo che non mi permette di arrivare a lavorare fino a dove voglio. Mi rendo conto che se arrivo a togliere l’anemometro, dovrò tornare a rimetterlo con un paranco per agganciarmi nel punto più estremo dell’albero e tirarmi ancora più su, per avvicinarmi il più possibile ai bulloni e alla presa dell’anemometro.

Cerco comunque di togliere lo scotch, ma mi rendo conto che ho utilizzato talmente tante energie per arrivare in cima, che se continuassi a lavorare e trovassi qualcosa che non funziona, non avrei più energie per scendere… Ho preso una decisione difficile per me: ho deciso di scendere. E appena sono sceso, mi sono detto: “ho fallito!”

Ma no… non ho fallito, ho fatto esperienza. Ho fatto un’esperienza preziosa, che mi servirà per il seguito.

Un attimo di felicità

Passo tutta la notte a riflettere, non faccio altro che pensare a quanto era successo, ripercorro ogni tappa, ripercorro ogni cima che deve andare su, ripercorro il sistema per non farla incrociare. Vedo il paranco, come lo sistemo nella mia tasca, come lo prendo, come lo sfilo quando arriverò su in testa d’albero, come lo allaccio. Come faccio a tirarmi su, ripercorro ogni dettaglio della manovra…

Mi risveglio, faccio colazione, mangio 250 grammi di pasta, cioccolata, bevo a sufficienza e riparto. Questa volta arrivo su nel punto più alto, riesco a prendere il paranco, riesco a tirarmi, riesco ad arrivare allo scotch che chiude la presa — che, sembra impossibile, è difficilissimo da togliere.

Le mie mani sono ghiacciate, la colla si è ghiacciata. Non riesco a toglierlo e ad un certo punto sono obbligato a rischiare: tiro fuori il coltello e taglio lo scotch lateralmente alla presa, cercando di non rompere i fili. Vado sulla parte plastica della presa, ci riesco, riesco a tagliare lo scotch esattamente nel punto di giunzione di plastica della presa, riesco a srotolarne un pezzo, metto via il coltello, riesco aprire la connessione elettrica della presa.

Un lavoro complesso

È già un successo. Adesso passo ai bulloni. Tiro fuori la chiave, riesco a svitare i due bulloni, ma non riesco a tenere la chiave dall’altra parte per impedire alla testa della vite di girare, quindi lo faccio a mano, ho le mani forti. Riesco a tenere perfettamente la testa della prima vite, e riesco a togliere bullone e vite. Ma non riesco a tenere ferma la seconda vite.

Sono obbligato a tirare fuori la chiave piatta e lavorare a mano nuda sul bullone. Il vento mi scarta a destra a sinistra, sballotto di qua e di là e non riescono a tenere ferma la chiave nella mano sinistra. Dopo 10 minuti, ce la faccio. Altro bullone preso, altra vite tolta. Adesso sembra che ci sia la parte più difficile. Abbiamo messo della resina nell’innesto tra l’anemometro e l’alloggio in testa d’albero per limitare le vibrazioni.

Provo a sfilare lo strumento ma non viene, allora prendo il leatherman e comincio a dare dei colpi come di scalpello sulla parte in cui so che c’è la resina. Con sollievo sento che la resina in più viene via facilmente, mi dico che ce la faccio. Tiro con forza e vedo che comincia a uscire. 

Mi dico che ce l’abbiamo fatta. Estraggo completamente l’anemometro, e me lo metto dietro la schiena. Sento il freddo del materiale che scivola tra la mia base layer e la pelle della mia schiena, sento la freddezza dell’oggetto e questo mi provoca felicità, perché il pezzo è intero e lo sto mettendo nel punto più sicuro: la mia schiena, dietro la testa, leggermente spostato dal casco. In questo modo non rischierà di rompersi sulle sartie nella discesa.

 


 

VENDÉE GLOBE, NONA SETTIMANA: “Ho doppiato il Capo Horn e ho capito che grinta vuol dire resistere. Mi sono ricordato del mio primo giorno da militare di leva: avevo la febbre e vinsi una mezza-maratona»

 

Mercoledì, 6 gennaio 2021, ore 05.45 UTC
Posizione di Prysmian Group: 53° 30′ 14’’S 057° 46′ 12″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest Nord-Ovest, 10 nodi (18,5 Km/h) raffiche di 15, cielo nuvoloso, altezza onda 2,5 mt con periodo moto ogni 10,5 secondi. Temperatura aria: 10°. Temperatura acqua 9°.
Luogo abitato più vicino a terra: Stanley, Isole Falkland, Territorio d’oltremare del Regno Unito,172 km.

Menu del giorno:

  • Risotto basmati ai funghi porcini (Grazie Tiberino!)
  • 5 beans liofilizzato
  • Succo di frutta multifrutta
  •  Due tè caldi
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Ieri notte, alle 2:12 ora italiana, ho doppiato Capo Horn, il punto più a Sud delle Americhe e dei continenti escluso quello antartico, il punto la cui longitudine segna il passaggio dall’Oceano Pacifico a quello Atlantico. Capo Horn è un capo mitico.

Il club

Passarlo ti rende addirittura parte di un gruppo, i «cap-hornien», in francese, che acquisiscono passando questo Capo, strani diritti… Per me Capo Horn è stato un click. Guardavo questo Capo avvicinarsi, lo desideravo, lo volevo. Volevo finire il Grande Sud. Un magnifico, imponente Grande Sud che ho ascoltato per un mese urlare che la natura esiste. Eccome se esiste. Magnifica, poderosa.

Il confronto

Mi sono sentito piccolo e attraversare questo Capo mi ha fatto riprendere la mia dimensione umana. Ma prima di farlo abbiamo dovuto attraversare due depressioni, la prima delle quali non scorderò mai. I suoi venti, la loro densità, la loro direzione, i loro singhiozzi e cambiamenti di umore, mi hanno ubriacato di stanchezza.

Abbiamo dovuto fare innumerevoli bordi, cambiamenti di direzione, lungo la Zona dei Ghiacci – la linea immaginaria che per regolamento non possiamo superare – per cercare il giusto punto dal quale far partire la traiettoria dritta verso la longitudine di Capo Horn e oltre. Le urla degli Oceani, i colpi della barca che sbatte sulle onde, le decisioni, i bordi, i pensieri, il freddo, mi hanno sfinito.

Così mi sono sentito. Finito. Ed è così che ho conosciuto la sopravvivenza, quell’istinto che dà fondo a risorse che sono nascoste dentro di noi e che non sempre sappiamo di avere. La risorsa che ho sentito, venire non so da dove, si chiama grinta. In realtà, pensandoci bene, non è stata la prima volta…

Adesso, dopo aver ritrovato ieri l’assetto della barca che mi è costato varie ore di lavoro tra togliere via via le mani di terzaroli, cambiate via via le vele davanti, andando davanti a prua, barcollando sulla barca instabile sulle onde, adesso, dopo aver brindato con lo champagne, l’Oceano, la Barca e io, adesso mi prendo un momento per chiudere gli occhi e ripensare a quanto è successo. A quanto è successo ogni giorno per oltre 1 mese, e a quanto è già successo, in passato, nella mia vita. La ricerca di quel qualcosa che ti spinge ad andare avanti.

La grinta

Arrivo alla caserma Pepicelli in viale Atlantici 73 a Benevento con un giorno di ritardo, ho avuto la febbre ed iniziare il militare con un giorno di ritardo crea tanti inghippi burocratici. Faccio parte del 198° corso allievi carabinieri ausiliari. Imbottito di aspirina ho la febbre a 37,5, alcuni mi consigliano di marcare visita.

Certo arrivare il primo giorno e marcare visita non depone bene. Non lo faccio. In più con i superiori non è possibile parlare. Ti strillano in faccia come tu fossi uno scemo, fermati a tre passi, presentati così: «Comandi, Allievo carabiniere ausiliare Giancarlo Pedote, terza compagnia, primo plotone, seconda squadra. Comandi!».

Ho la febbre, il tipo con due stelle sulla spalla strilla come un aquila e non ci capisco niente. Scopro dopo poche ore che hanno selezionato alcuni tra i carabinieri per partecipare ad una gara di corsa a piedi, ho la febbre, ma sono super allenato. Da quando ho 14 anni pratico boxe e full contact ho degli incontri al mio attivo e conosco il sacrificio nello sport. Devo incontrare il tenente capo della nostra compagnia e chiedergli di partecipare. Lo vedo che strilla in faccia a tutti come un matto. Finalmente trovo il coraggio.

In gara

Sono vicino alla linea di partenza, non mi scaldo più di tanto, la febbre mi è salita e sono già caldo, il mio cuore batte forte. 5 minuti allo start. Mi avvicino sono nervoso ed ho voglia di esplodere nello stesso tempo.

Via! Scatto subito in avanti, voglio prendere il gruppo di testa e restare agganciato. Il cuore pompa, anche troppo. Sono presto disidratato, non ho acqua con me. Ci sono delle pozze. Volontariamente metto i piedi dentro. Nelle lezioni di chimica frequentate a scuola ho scoperto il fenomeno dell’osmosi e mi dico che potrebbe funzionare. 

I primi 4 km sono duri, ho difficoltà a tenere il passo e sono molto irregolare nel ritmo. La voglia di esplodere ha il predominio su tutto, sono abituato al dolore, a convivere con la sua prepotenza nel corpo umano. Sono diventato capace di spingerlo a spallate e la sua voce imponente arriva fioca al mio orecchio, non mi convince.

Al 15esimo chilometro la stanchezza si fa sentire, comincio a perdere terreno, il secondo dei carabinieri mi raggiunge, un ragazzo alto di Roma. Corriamo spalla a spalla per circa tre km, è pura resistenza al dolore. Ignoralo ripeto dentro di me. Non ascoltare quella voce. Anestetizza. Il cuore batte forte, non sento più la febbre, non sento più niente.

Al 19esimo chilometro lui molla. Credo sia stata la sua mente che non tollerava più il dolore, non il suo corpo. Mi difendo per gli ultimi chilometri e taglio il traguardo nei primi 40 assoluti e primo carabiniere. Ho fiducia in me e capisco che sono capace di lottare per un obiettivo.

Il premio

Il colonnello mi chiama a rapporto per farmi i complimenti e darmi una licenza premio. Entro nella sua stanza ai piani alti. Ho capito come ci si presenta finalmente. Appena entro sbatto il piede per l’attenti nella sua stanza con una brutalità che sento vibrare il pianerottolo: «Comandi, Allievo carabiniere ausiliare Giancarlo Pedote, terza compagnia, primo plotone, seconda squadra. Comandi!»

Vedo la sua faccia infastidita dal mio strillare, mi ripete con voce calma «riposo, riposo». Sono passate 48 h. Sono arrivato con un giorno di ritardo in caserma, ho vinto la mezza maratona tra i carabinieri e mi ritrovo nell’ufficio del Colonnello. La vita è buffa come direbbe Adriano.

Grinta e resistenza

Questa volta non avevo un tenente a urlarmi in faccia. Avevo l’Oceano Indiano prima, e il Pacifico dopo. Non avevo delle pozze nelle quali immergere i piedi per cercare di abbassare la mia temperatura corporea: avevo un motore che accendevo per riscaldarmi ed asciugare i vestiti, le cerate, gli stivali…

Nel Grande Sud non potevo spingere come un matto, dovevo preoccuparmi di un mezzo, perché non corro solo sulle mie gambe e se si rompe il mezzo, finisce facilmente tutto. Ma la grinta è la stessa. Solo che qui si chiama, a volte, resistenza.

 


 

VENDÉE GLOBE, DECIMA SETTIMANA: “La solitudine e i miei altri compagni di viaggio”

 

Mercoledì, 13 gennaio 2021, ore 04.30 UTC

Posizione di Prysmian Group: 23° 41’ 24’’S 034° 34’ 85”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord-Est, 11 nodi (20,4 Km/h) raffiche di 15, cielo con qualche piccola nuvola, altezza onda 1,5 mt con periodo moto ogni 11,4 secondi. Temperatura aria: 26°. Temperatura acqua: 28°.
Luogo abitato più vicino a terra: Guarapari, comune nello Stato Espírito Santo, Brasile, 692 km. È una delle città che hanno fatto registrare una delle più alte concentrazioni di radioattività naturale del mondo.

Menu del giorno:

  • Fusilli con crema di cime di rapa
  • Pane carasau e patè di melanzane e peperoni
  • Succo di frutta al pompelmo
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Sono le tre di notte. C’è vento, ma il mare è clemente. Ho regolato la barca. Ho trovato la buona regolazione. Non ci sono più forti colpi sulle onde che fanno saltare tutto. Ci sono i fischi del vento, il rumore della barca che scivola sul mare, i rumori a bordo. Sono al tavolo da carteggio, ho acceso la rete wifi e mi arriva un messaggio. È il gruppo whatsapp degli skipper che partecipano al Vendée Globe. Ci scriviamo. Condividiamo. Ci motiviamo. Ci facciamo compagnia. Resistiamo contro la solitudine.

La solitudine. La solitudine per me è sempre stata una grande opportunità. Da piccolo ero un bambino che amava giocare da solo. Figlio unico, nel silenzio della mia cameretta amavo animare i giochi nel mio immaginario. Crescendo ho sempre cercato di coltivare il bisogno di guardarsi dentro e ho trovato nella solitudine un’alleata in questo. Momenti da solo, viaggi da solo, adesso quest’esperienza. Di solito la solitudine invita l’introspezione, gli dice dove sei e prima o poi te la presenta. Dopo un po’ che sei in compagnia della solitudine, l’introspezione bussa alla tua porta e sta a te decidere se aprirle oppure no.

Puoi farla entrare, e iniziare a guardarti dentro, oppure puoi far finta di non sentirla arrivare, puoi riempirti le giornate di rumore, attività pensieri e non aprirle. Perché guardarsi dentro, veramente, a volte fa male: vedi quello che hai dentro, cose che a volte non ti piacciono e non vorresti avere. Io ho sempre pensato che fosse meglio vedere e sapere piuttosto che nascondersi. Perché solo così è possibile migliorare, crescere come essere umano. Ma ora non voglio parlare dell’introspezione. 

Compagna solitudine

Ora voglio parlare della solitudine e dei suoi compagni di viaggio. Quando la solitudine viene a trovarti, porta con sé numerosi personaggi. Alcuni possono essere utili, come l’introspezione (che è un’insegnante intransigente e severa), altri sono più pericolosi.

Ed è questi che sto cercando di evitare, che tutti gli skipper cercano di evitare parlando spesso tra di loro: la paura, la disperazione, la melanconia… Queste sono compagne di viaggio che, se non sei forte, se non sai come prenderle, possono abbatterti.

Quando ti parla la paura devi sapere riconoscere se ciò che ti dice è reale o no, perché se con una mano ti mostra i rischi e i pericoli che stai vivendo, con l’altra ti porge una lente di ingrandimento che può farti vedere tuttoingigantito. E può abbatterti.

La disperazione è il personaggio al quale non dovremmo mai aprire la porta, perché urla così forte, e così convincente che può disarmarti, può farti sprofondare in un baratro dal quale è difficile uscire, da soli. La melanconia ha un’aria dolce, indossa un vestito romantico. Ti porge la mano e se le segui inizia a condurti in una scala in discesa. Verso il basso, dove puoi incontrare la tristezza e poi la disperazione…

La solitudine

La solitudine è una grande opportunità, ma nel momento in cui l’affronti devi essere forte e motivato. Un conto è affrontarla quando vuoi tu, in piena consapevolezza, un conto è farlo quando sei stanco, fragile. Quando partiamo per un Vendée Globe sappiamo che saremo soli su di una barca per circa due mesi e mezzo. Ma sappiamo anche che abbiamo la fortuna di avere dei mezzi di comunicazione che ci permettono di comunicare a terra e tra di noi skipper.

Potrebbe sembrare che tra cose da fare, contatti a terra, video ed foto da inviare, non ci sia il tempo per sentirsi soli. Eppure non è così. Ci sono stati moment nei nei quali mi sono sentito solo, soprattutto quando, all’altro capo del mondo, avevo un fuso orario completamente sballato rispetto a casa, avevo bisogno di scambiare due parole ma non volevo disturbare. Momenti in cui volevo vedere qualcuno, abbracciare i miei figli. Ci vuole motivazione per convivere con la solitudine, per decide a quale delle sue compagne aprire e dare la mano. Tanta motivazione.

Le mie motivazioni sono l’introspezione, la contemplazione, il voler superare dei limiti, la conoscenza. A volte anche l’amore, a volte anche la solidarietà, e mi riferisco al progetto che gli sponsor hanno legato a questa nostra sfida sportiva per realizzare dei progetti di elettrificazione di aree povere. Grazie Prysmian per questa iniziativa. Io so quanto l’elettricità sia importante. Grazie Prysmian per la motivazione in più che mi avete dato per sopportare la solitudine.

 


 

VENDÉE GLOBE, UNDICESIMA SETTIMANA: “Il momento del panico è arrivato ed ecco come neutralizzarlo. Il motore, indispensabile per produrre energia, è andato in avaria dopo Capo Horn: riavviarlo è stato difficile, con la paura di rimanere senza riferimenti in balia dell’Oceano”

 

Mercoledì, 20 gennaio 2021, ore 04.30
UTC Posizione di Prysmian Group: 12° 30′ 58’’N 35° 14′ 14″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Est Nord-Est, 17 nodi (31,5 Km/h) raffiche di 24, cielo nuvoloso con qualche rovescio, altezza onda 3 mt con periodo moto ogni 14 secondi. Temperatura aria: 23°. Temperatura acqua: 26°.
Luogo abitato più vicino a terra: Nova Sintra, Isola di Brava, Capo Verde
Distanza: 1228 Km.

Menu del giorno

  • Pasta con sugo di pomodorini ciliegino e tanto parmigiano
  • Prosciutto spagnolo e pane carasau (fusion ?)
  • Succo di frutta 100% mela
  • Cioccolata fondente
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

C’è una cosa della quale non ho parlato, successa dopo Capo Horn. Durante tutto il Grande Sud, ho avuto difficoltà ad accendere il motore. Probabilmente dovute alle basse temperature, alla mancanza di additivi supplementari nel gasolio che potessero aiutare a semplificare la prima combustione, o forse qualche problema di funzionamento delle candelette di preriscaldamento. Fatto sta che, per non prendere rischi, durante tutto il Grande Sud ho acceso il motore ogni 6 ore, senza mai lasciarlo raffreddare. Il motore è un elemento fondamentale di una barca a vela. È vietato usarlo per navigare, ma è indispensabile per ricaricare le batterie. E fornire energia elettrica.

L’energia è fondamentale

Senza energia elettrica, la nostra imbarcazione diventa ingovernabile, diventa un mezzo completamente alla deriva. Senza energia non c’è più pilota automatico, non c’è più comunicazione, non c’è più computer, non abbiamo più la posizione della nostra barca né di quella degli altri, non abbiamo più acqua potabile. Senza energia resta solo il pericolo. Pericolo di navigare alla cieca. I sistemi di ricarica delle batterie sono essenziali, e se anche Prysmian Group è dotata di due idrogeneratori, di cui uno capriccioso e inaffidabile, il sistema di ricarica delle batterie principale, quello senza il quale non è possibile continuare, è il motore. Per risparmiare gasolio, dopo Capo Horn, in un momento di tranquillità ho deciso di utilizzare gli idrogeneratori per 24 ore. In questo periodo, il motore si è raffreddato completamente e quando sono andato ad accenderlo, non partiva. L’idrogeneratore in quel momento non funzionava, perché la velocità della barca non era sufficiente. Quando provavo ad accendere il motore, quando pigiavo quell’interruttore e il motore non si avviava, quando nonostante con tutto me stesso chiedessi al motore per favore di accendersi e lui non lo faceva, lì ho avuto un vero brivido di paura. Una reazione incontrollabile di disperazione, oscurità e paura tutta mischiata insieme, non causata dalla possibilità di perdere la vita, ma da una possibilità che mi ha mostrato in quel momento la vita: la possibilità di non terminare la regata. In quel momento ho sentito tutto il carico di energia investita in questo progetto, da parte mia, da parte degli sponsor, da parte di tutti coloro che hanno lavorato e che lavorano con me. Vedere vacillare tutto, ha generato in me una specie di Corto Circuito cerebrale. Finalmente, fortunatamente, il motore è partito e di questo è rimasto soltanto un grandissimo spavento. E quello spavento, un po’ come la madeleine inzuppata nel tè di cui parlava Proust in «Alla ricerca del tempo perduto», ha riportato alla memoria il ricordo del panico, dell’unica volta in cui l’ho vissuto. Il mio primo e per ora unico panico.

Il mio primo panico

Ho sette anni, sono seduto nei sedili posteriori della Giulietta di mio padre, torniamo a casa dopo essere stati a trovare degli amici di famiglia. Mio padre parcheggia, scendo dall’auto con mia madre che mi prende per mano per attraversare. Passa un motorino con due persone a pochi centimetri da noi ed a mia madre viene scippata la borsa. Il mio corpo si irrigidisce e si pietrifica. Ricordo il rumore del motorino, l’urlo di mia madre, vedo mio padre che scatta per rincorrerli, ricordo il profumo degli interni della Giulietta, l’odore della miscela bruciata del motorino che accelera a tutta velocità. Sono la disperazione di mia madre, la rabbia di mio padre e la mia pietrificazione al tempo stesso. È stato lì che ho incontrato per la prima volta il panico, che gli ho stretto la mano per conoscerlo. Ero solo un bambino e mi ha colto di sorpresa. La paura gli ha aperto la porta e lui si è impossessato di me in mezzo istante. Da quel giorno l’ho più rivisto, ma in questo viaggio che è il Vendée Globe ho rivissuto in memoria, la sensazione che provai e che so avrei potuto provare. Perché il panico accompagna sempre la paura, ci prova sempre a venire a trovarti. Il panico lo classifico come una paura talmente grande che immobilizza, non permette di aggiungere altro. Cristallizza e pietrifica. Quando il panico ti invade rimani immobilizzato, senza nessuna possibilità di agire, perso nei tuoi pensieri agitati più di un Oceano in tempesta. Quando il motore non funzionava, non ho dato il tempo al panico di venire a bussare alla mia porta: sono passato subito all’azione. Ho chiamato la persona del mio team che a terra è responsabile del motore nonché i tecnici dello stesso produttore del motore, che si sono attivati subito e con i quali subito abbiamo cominciato a fare delle ipotesi fino a trovare una soluzione.

 


 

VENDÉE GLOBE, L’ULTIMA SETTIMANA: “La lezione più grande? Si impara solo uscendo dalla zona di comfort. Dopo questa esperienza sarò più capace di assaporare ciò che mi sembra normale e scontato. Ma continuerò a uscire in cerca di esperienze al limite.”

 

Venerdì, 29 gennaio 2021, ore 09.44 orario italiano
Posizione di Prysmian Group: 44° 32′ 77″N 001° 36′ 73″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest, 18 nodi, raffiche di 29, cielo sgombro, ma di un colore leggermente grigio… altezza onda 3,3 mt con periodo moto ogni 11,6 secondi. Temperatura aria: 11°.
Luogo abitato più vicino a terra: Les Sables d’Olonne
Distanza: 0 Km

Colazione

  • Uova al tegamino cucinate da Aurelio
  • Pane al forno, cotto da Isabella
  • Caffé
  • Acqua naturale… non desalinizzata

Venerdì scorso, di notte, dovevo contornare il grosso centro di alta pressione che avevamo davanti: l’ultimo centro importante di bonacce prima di entrare nel regime depressionario che ci ha poi accompagnato fino a Les Sables d’Olonne.
Venerdì scorso, di notte, la maggior parte delle persone in Europa dormiva ed io ero sveglio a regolare continuamente la barca per cercare di metterla su foil e farla così cominciare a navigare nei suoi target.
Venerdì scorso notte, il mare era calmo, la temperatura di circa 22 °.

Una cosa sola col mare

Ricordo che mentre ero concentrato sulla navigazione, perché sapevo di non essere al pieno delle potenzialità della barca, per un attimo mi sono guardato intorno e ho visto. Il cielo stellato, la scia, che non era violenta come spesso è, ma morbida. E queste stelle, questa scia ipnotizzante, hanno accompagnato la mia mente a abbandonarsi alla riflessione sulla vita. Un momento prima di abbandonarmi, mi sono sentito tutt’uno con questo mondo che mi circonda, tutt’uno con il mare, con la barca, con il cielo e con il vento.

Sono sensazioni rare perché in questa regata la stanchezza ci mantiene sempre in uno stato di sopravvivenza. Ma ogni tanto capitano momenti come questi. Capitano queste sensazioni. E quando succede bisogna impadronirsene, riconoscerle e viverla a pieno. Bisogna respirarle, perché sono ciò che fanno la bellezza di questo genere di esperienze.

Le esperienze

Il mio pensiero è andato alla vita. La vita. La vita è questo dono che ci viene fatto in modo così inspiegabile: non sappiamo perché viviamo, veniamo qua sulla Terra senza libretto d’istruzioni, non sappiamo da dove arriviamo sulla Terra e non sappiamo dove andiamo una volta che la nostra vita sulla Terra raggiunge la sua fine.

Il mistero della vita è qualcosa che mi ha sempre affascinato fin da bambino. Il mistero della vita, il mistero dell’universo, sono temi sui quali mi è sempre piaciuto riflettere e probabilmente è per questo che ho scelto di studiare filosofia. Tra domande, riflessioni, suggerimenti e intuizioni, una cosa è sempre stata certa per me: la vita l’ho sempre interpretata come qualcosa da utilizzare, non da conservare.

Ed è per questo che mi sono sempre interessato alle esperienze. Ed è per questo che probabilmente, oggi, mi trovo qui.

 


 

FONTI:

Originariamente pubblicato su Corriere della Sera (Corriere.it). Grazie ad Arianna Ravelli, Gaia Piccardi e alla Direzione del Corriere.it.

 

 

“La vela è una disciplina, più che uno sport”

arrivo di Giancarlo sulla sua barca a vela

Le considerazioni di Giancarlo, intervistato da Psychologies France dopo tre settimane dal suo ritorno dal giro del mondo. L’articolo originale è visibile sul sito Psychologies. 

Come ti senti dopo tre settimane dall’arrivo a Les Sables d’Olonne?

“Mi sento molto bene e la cosa strana è che tutto mi sembra già lontano anche se sono ancora molto sotto pressione. Non è ancora tutto finito, soprattutto con gli sponsor, ma sono già passate tre settimane dal mio arrivo. Ho la sensazione che il giro del mondo sia qualcosa dietro di me.”

Hai già fatto un bilancio personale di questa avventura?

“No, non ancora, questo Vendée Globe ha piantato in me dei semi che ci metteranno del tempo a germogliare.  È stata un’esperienza intensa e non posso ancora dire come o in cosa questa regata mi abbia cambiato. Tre settimane sono poche per fare un bilancio, inoltre io cerco di vivere sempre nell’attimo presente. Forse tra sei mesi avrò una visione complessiva più chiara e potrò tirare le somme.”

Spesso hai parlato delle tue emozioni nel tuo diario di bordo, cosa ci racconti ora?

“Avevo tanto da raccontare, in mare ho vissuto intensamente tutta la gamma di emozioni che conosciamo. Soprattutto, ho sperimentato contrasti fortissimi tra emozioni opposte, ad esempio, tra gioia e tristezza, piacere e sofferenza, tensione e calma.”

È possibile sperimentare la calma durante una regata in pieno oceano?

“Certo, soprattutto quando non c’è vento! Quando siamo nella bonaccia, ci prendiamo il tempo per controllare le strutture della barca, per riparare ciò che è stato danneggiato dal vento e dalle onde. Ma poi, se, finiti i lavori, il vento non si alza, sperimentiamo la calma. In una regata non viviamo serenamente la bonaccia perché vorremmo partire, ma è comunque un momento di calma. Il mondo si ferma, siamo soli in mezzo all’oceano e non c’è vento.”

Da quello che ci racconti si capisce che dipendenti dagli elementi naturali per avanzare. Ti interroghi sul tuo rapporto con la natura?

“Dipende dai momenti, quando tutto è calmo, ti senti un po’ forte. Trent’anni fa, quando a bordo delle imbarcazioni non avevamo tutta la tecnologia che abbiamo oggi, forse era diverso. Ma ora, quando non c’è vento, guardiamo il computer e qualche volta ci dice con una precisione di un quarto d’ora il momento in cui torna. D’altra parte, quando c’è una tempesta, ci rendiamo conto della potenza dell’oceano, sentiamo la forza della natura e ci rendiamo conto di quanto siamo piccoli e non contiamo nulla di fronte ad essa. Rimette a posto le idee, sul nostro reale posto nel mondo.”

Fare vela insegna l’umiltà?

“Navigare aiuta a capire che non potrai mai padroneggiare tutto, che non avrai mai la verità assoluta, perché ti trovi costantemente di fronte a nuove situazioni. Possiamo sempre fare di più e meglio: una parte di me dirà che sono davvero all’apice della mia preparazione, ma un’altra mi dirà sempre “aspetta, vedremo alla fine”. Questo ti permette di evitare di montarti la testa e di continuare a migliorare, quindi di sicuro, la vela insegna l’umiltà e non solo. Prima, parlavamo di calma che per me è anche uno stato interiore. Un navigatore che ha già partecipato ad un Vendée Globe sicuramente vive l’esperienza con più prospettiva e calma di chi lo fa per la prima volta. La conoscenza di cosa lo aspetta, gli permette di essere migliore, perché è più rilassato e preparato in alcuni momenti di stress in cui devi dare tutto, ed è quindi in grado di prendere decisioni migliori. In mare l’esperienza insegna l’umiltà e aiuta a mantenere la calma.”

Cosa ti ha spinto a navigare?

“Sono nato a Firenze, ma quando ho scoperto il mare ho sentito una forza di attrazione a cui non ho saputo resistere. Ho bisogno del mare per stare bene, già vederlo davanti a me quando sono da qualche parte mi fa sentire al sicuro. Il mare, la vela, è una vocazione e nonostante gli anni e il fatto che ora sia il mio lavoro, rimane una passione.”

entrata barca a vela a Port Olona

Ti definisci come un navigatore, ti consideri anche uno sportivo?

“No, perché per me la vela è più una disciplina che uno sport, in mare non si tratta solo di prestazioni fisiche. La prova è che, a quarant’anni, un calciatore è già uscito dal campo da molto tempo mentre un navigatore non è affatto a fine carriera. Francis Joyon ha vinto il Jules Verne Trophy a 61 anni. Questa è la prova che mente, esperienza, sangue freddo, organizzazione, capacità di risoluzione dei problemi sono risorse essenziali, più che essere in grado di correre 10 chilometri in 40 minuti …”

Contrariamente da quell oche si potrebbe pensare il mestiere del navigatore non consiste semplicemente navigare sulla propria barca…

“Infatti, per me, una regata è preparata per l’80% a terra. Le barche sono meccaniche, se sono scarsamente preparate, è probabile che si rompano. E poi devi prepararti fisicamente e mentalmente, gestire questioni logistiche come le scorte di cibo e tanto altro. Devi anche assicurarti di lasciare in ordine gli affari di famiglia, altrimenti, quei pensieri ti raggiungono in mare e possono distrarti. Dopo, ovviamente, devi anche fare il lavoro in mare e navigare al meglio, altrimenti non finirai!”

Cosa intendi per “prepararsi mentalmente”?

“Immaginare la regata, immaginare te stesso in diverse situazioni che potresti incontrare e immaginare come reagire ad esse. Si tratta anche di immaginarsi da soli ad affrontare la solitudine, pensando che il giorno di Natale non saremo lì a vedere i nostri figli felici dei loro doni … Se ci proiettiamo vivendo tutto questo quando siamo a terra, saremo un po’ più pronti il ​​giorno che ci capiterà in mare, non saremo del tutto sorpresi. Forse possiamo essere bravi a improvvisare, ma forse non possiamo, nel dubbio, è meglio prepararsi.”

Fare un giro del mondo in barca a vela in solitario è un progetto magnifico. Ti rendi conto che hai fatto sognare tante persone?

“È difficile per me crederlo, ho sognato il Vendée Globe per anni, ma era più nel senso “Anch’io, voglio farlo, posso farlo”. Non mi ha fatto sognare, ma soprattutto mi ha fatto venire voglia di farlo. Ma capisco che il Vendée Globe fa sognare, come sogno inaccessibile e io ho questa sensazione per altre attività. Ad esempio, un attore di teatro o di cinema di alto livello mi fa sognare perché so che non potrò mai farlo, non fa parte di me. Mentre il Vendée Globe è il mio lavoro: non sogno di fare il navigatore perché lo sono.”

80 giorni da solo in mare, è un periodo di tempo molto lungo vero?

“Sì, soprattutto perché vediamo sempre le stesse cose: il cielo, le nuvole, il mare! Fortunatamente, a volte vediamo degli animali marini e sono degli incontri molto belli. Gli albatros sono stati una presenza reale per me, li consideravo compagni di viaggio perché mi hanno seguito per molto tempo.”

Qual è il tuo più bel ricordo di questo Vendée Globe?

“Un giorno, nel Grande Sud, ho ammirato il volo degli albatros, ballavano sulle creste delle onde che si infrangevano. Allo stesso tempo, respiravo il vento gelido che veniva dall’Antartide: era un’aria gelata, diversa da quella che si respira in montagna. C’erano al contempo sensazioni visive, olfattive e uditive. In quel momento non ero riuscito a trovare le parole per descrivere questa esperienza e ancora oggi mi è difficile. È stato un momento molto intenso, che non avevo mai vissuto prima.”

 

 

 

Anni di duro lavoro, trovano un nuovo significato con il Vendée Globe

Il principio del Vendée Globe è semplice: un giro del mondo in solitario, senza sosta e senza assistenza. In otto edizioni, 165 skipper hanno preso il via dell’evento e solo 88 di loro lo hanno portato a termine. Molti di più hanno conquistato l’Everest o sono stati lanciati nello spazio. Per questo il Vendée Globe è un’avventura con la A maiuscola. Ma come dice Philippe Jeantot, che ha lanciato l’evento nel 1989, “il fatto che si tratti di una competizione, aggiunge un’ulteriore fattore, perché oltre alla vittoria sugli elementi, è necessario fare meglio rispetto agli altri.

Per raggiungere questo obiettivo, per fare un giro del mondo in solitario, senza assistenza e senza scalo, in competizione con altri skipper, è necessario superare costantemente sè stessi, spingere i propri limiti. Proprio alla continua ricerca di nuovi limiti, Giancarlo è pronto per la sfida. Una sfida che prepara instancabilmente da anni e che oggi dà un nuovo significato alla sua vita.

Essere al via di questa nona edizione dà un nuovo significato a tutte le cose che ho fatto da quando avevo 14 anni. Sono sempre stato pienamente coinvolto in tutto ciò che ho fatto, in particolare nello sport”, spiega Giancarlo che ha praticato boxe e altri sport, sempre con grande impegno. Restare sempre in un’ottica positiva, chiedere molto a sé stesso, ma sapendosi ascoltare, affrontando le cose fino in fondo … è così che lavora Giancarlo, che si sforza di superare i suoi limiti ogni giorno.

C’è una domanda che Giancarlo continua a farsi: “È questo il meglio che posso fare?”. Si tratta di sapere quello che vuoi fare e come vuoi arrivare a farlo.

In un progetto come un Vendée Globe, non si tratta di controllare tutto, ma di pensare chiaramente alle azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo. Secondo me, l’80% del progetto si gioca a terra. Più hai ottimizzato la tua barca, più ti sei allenato fisicamente e più hai lavorato sulla meteo, più riduci al minimo il numero di problemi che dovrai affrontare in mare, problemi che sicuramente non mancheranno”, dice lo skipper di Prysmian Group che ha cercato di prepararsi al meglio per il suo primo giro del mondo, un’impresa che naturalmente implica un gran numero di incognite.

Parametro C

Quando parti per qualcosa che non conosci, è difficile prevedere e immaginare tutto. Un giro del mondo in solitario, che sia il primo, il secondo, il terzo o più, ha sempre qualche incertezza perché la situazione è sempre diversa, fosse solo per le condizioni meteo. Per questo penso che la chiave di un progetto del genere sia, soprattutto, l’affidabilità del mezzo”, precisa Giancarlo che insieme al suo team si è preso la massima cura dell’IMOCA recuperato un anno e mezzo fa.

Una buona preparazione della barca e chiare scelte tecniche sono essenziali perché come ho detto, rappresentano una parte molto importante della prestazione o, per lo meno, delle sue possibilità di raggiungere i propri obiettivi. Ma questo non basta. La fortuna è un altro elemento essenziale per il successo di un progetto Vendée Globe. Se non è con te, è difficile. Nettuno deve decidere di lasciarti passare. Da parte mia, sono piuttosto fatalista. So di avere fatto tutto quanto in mio possesso per realizzare le mie ambizioni, ma so anche che non ho il controllo su tutto”, continua Giancarlo che, in avvicinamento all’inizio di questo Vendée Globe, previsto l’8 novembre alle 13:02 nella baia de Les Sables d’Olonne, trova un senso in tutto ciò che ha intrapreso negli ultimi anni.

I miei studi, i miei viaggi, le diverse lingue che parlo e tutte le esperienze che ho maturato sin dall’adolescenza, oggi combaciano. In passato, a volte ho avuto la sensazione di fare delle cose senza sapere veramente perché, ma oggi mi rendo conto che, senza rendermene conto, avevo messo tutto questo in una busta chiamata “Vendée Globe”.

Una busta che adesso si sta aprendo…

Prysmian Group, Giancarlo e me. Un racconto di Andrea Falcon.

Con Giancarlo Pedote il forse non esiste. Il 15 luglio, appena terminata la Vendée Arctique Les Sables d’Olonne che l’ha tenuto in oceano per dieci giorni, mi ha detto che la settimana dopo mi avrebbe portato a navigare in Atlantico con il suo Prysmian Group, se avessi deciso di andare a trovarlo a Lorient, in Bretagna. Detto fatto, siamo usciti in barca giovedì 23 luglio.

Due giorni prima, mentre ero in viaggio da Roma a Lorient, ho ricevuto un messaggio sul cellulare che mi annunciava il programma definitivo dell’uscita: partenza alle 16:30 e rientro la mattina successiva alle 8:30. Facile immaginare la mia incredulità sapendo che avrei ricevuto addirittura il dono di una navigazione notturna. Ho subito inoltrato la notizia al mio amico Simon, perché l’emozione era troppo forte per non essere esternata. Però, ho commesso un’ingenuità, perché alla fine del mio messaggio a Simon, ho aggiunto: “Speriamo che accada sul serio, sarebbe davvero una figata navigare anche di notte”. Avessi conosciuto Giancarlo Pedote più di quanto non credo di conoscerlo già, non avrei avuto motivo di stare in ansia. Giovedì 23 luglio alle 16:30 abbiamo puntualmente lasciato la banchina e alle 8:30 di venerdì 24 abbiamo di nuovo ormeggiato a Lorient. Nelle 48 ore precedenti l’uscita, questo programma non è mai stato più argomento di riunione con il suo team.

Immagine di Andrea Falcon
Immagine di Andrea Falcon

Essere giornalista e fotografo freelance (indipendente e autonomo, per capirci meglio) di questi tempi ha i suoi svantaggi e vantaggi. Per parlare dei primi, il servizio o il reportage che sia te lo paghi di tasca tua: lo pensi, ci credi, prendi la tua attrezzatura, parti e vai fino in fondo. Per quel che riguarda i secondi, il progetto lo affronti con l’esperienza e la competenza acquisita nel tempo, con i dubbi e le certezze, sei il capo di te stesso e, nel bene e nel male, sei l’unico responsabile del risultato della tua iniziativa. Tutto sommato, riscontro delle similitudini di base tra il mio lavoro e quello, certamente più complesso, di un navigatore solitario che ha una campagna di regate in oceano. Per questo sono felice di avere deciso di andare a trovare Giancarlo Pedote a Lorient e di seguirlo un po’ nella sua attività dove, paradossalmente, le ore di navigazione sulla barca rappresentano la quota minore nell’agenda di un anno.

“Prendi il timone che devo entrare a controllare una cosa”. In un attimo, le mie mani non impugnano più una macchina fotografica, ma la barra di Prysmian Group. Non guardo più attraverso il mirino della reflex per trovare la fotografia migliore, ma osservo i filetti sul genoa per fare del mio meglio e non deludere Giancarlo Pedote che si fida, non so perché, di me. Con la coda dell’occhio lo vedo entrare e sparire nella cabina tutta nera-carbonio che sembra una navicella spaziale. Non mi pare vero di timonare l’Imoca 60 Prysmian Group. Non è che debba fare molto, sia ben chiaro. Pedote ha messo la barca in assetto, siamo di bolina con vento teso sui 18 nodi d’intensità e Prysmian Group viaggia che è una bellezza. Mi godo il momento.

Giancarlo su Pryslian Group. Immagine di Andrea Falcon
Giancarlo su Prysmian Group. Immagine di Andrea Falcon

So di impugnare una barca che, come altre della sua classe, sono abituato ad ammirare in fantastiche fotografie aeree mentre volano sul mare alzando baffi d’acqua enormi come aliscafi. Sono macchine da guerra e io ne sto timonando una. Prysmian Group è bilanciatissima, leggera al timone, sensibile. Se vedo i segnavento sulla vela spostarsi poggio oppure orzo un pelo e la prua si sposta immediatamente sull’orizzonte. Io non sono nessuno, timono raramente, sono pure meno di un velista della domenica, eppure ho la sensazione che sia tutto così semplice. Poi, certo, tra timonare Prysmian Group e timonarlo bene, c’è un abisso di mezzo. Comunque, grosse fesserie alla fine non ne combino, magari non la faccio viaggiare come si potrebbe, ma neanche la pianto al vento. Neppure la faccio sbattere sull’onda, leggermente formata, come otto anni prima Pedote mi ha rimproverato di fare quando mi ha lasciato timonare il suo 747, il primo Mini 6.50 con la prua tutta tonda della storia. Anche in quel caso eravamo nell’Atlantico di Lorient, ma a novembre, pochi giorni dopo la partenza del Vendée Globe del 2012 che ero andato a vedere.

La luce è fantastica, il prologo di un interminabile tramonto oceanico che scalda le ochette altrimenti bianche del mare increspato. Mi godo gli spruzzi in controluce che da prua si arrampicano sulla coperta e schiaffeggiano il genoa. Qualche rivolo d’acqua arriva fino in pozzetto bagnandoci i piedi. Un po’ teso lo sono, mi domando se da dentro la cabina Giancarlo abbia modo di sentire come sto conducendo la barca. Ovviamente sì. Dopo un po’ riappare e viene a riprendersi il timone. Non mi rimprovera di nulla, si vede che è felice dell’opportunità che mi ha concesso e che mi riconcederà un altro paio di volte durante la navigazione. La sua forma mentale, tuttavia, non gli impedisce di appuntarmi: “Devi navigare più stretto al vento per tenere la barca più piatta sull’acqua. Tu la porti un po’ troppo poggiata e sbandata, rischiando di farla andare di traverso”. Ecco, meglio ristabilire i ruoli a bordo, lui naviga, io fotografo.

Mi dedico a fotografare un po’ di paesaggio. “Che cielo pazzesco”, sottolinea Giancarlo. Così mi toglie il dubbio che mi porto dietro da quando siamo usciti: a portare una barca tanto difficile, soprattutto in regata, un navigatore solitario ha ancora il tempo di godersi il mare, che è poi l’elemento passionale da dove tutto inizia? “Io mi diverto sempre”, mi risponde Giancarlo.

Giancarlo su Pryslian Group. Immagine di Andrea Falcon
Giancarlo su Prysmian Group. Immagine di Andrea Falcon

L’uscita prevede bordi di bolina di un’ora in allontanamento dalla costa e poi di lasco per tornare verso Lorient. La calibrazione della strumentazione di bordo è un altro dei motivi di questa uscita e a bordo c’è un tecnico per raccogliere ed elaborare i dati. In qualche strambata Giancarlo si diverte con sano sadismo a fare girare le manovelle un po’ a tutti. Se al timone avevo strappato una sufficienza stiracchiata per benevolenza dello skipper, come grinder non passo l’esame. Porto a termine il compito, ma in troppo tempo e, soprattutto, finita la manovra mi servono cinque minuti di riposo in panchina. Quando è Giancarlo a far girare le manovelle il confronto è umiliante. Quando è a terra cura maniacalmente anche la preparazione atletica.

Un paio d’ore più tardi rispetto all’Italia cala la notte. Bisogna fare i turni di guardia, perché anche se siamo tra le 15 e le 20 miglia al largo, ci sono tanti pescherecci. Così, mi capita per due volte di stare un’ora da solo in pozzetto: la prima, da mezzanotte a l’una, la seconda dalle 3 alle 4 del mattino. Siamo tre giorni dopo la Luna nuova, le stelle si vedono benissimo, ma il mare è buio pesto e non si distingue la separazione con il cielo. Fa anche discretamente freddo, umido, ma sono vestito con la cerata e gli stivali in dotazione della barca e resisto. Là da solo in pozzetto, con la compagnia del pilota automatico, per un’ora faccio finta di essere Giancarlo Pedote nei mari del sud. Prysmian Group naviga veloce e io sto in piedi a centro barca con le mani sulla tuga. Stare in piedi senza tenersi è impossibile, soprattutto quando bisogna fare i passi laterali per andare a sbirciare anche sottovento e poi sopravvento. Cerco di spostarmi da dritta a sinistra e viceversa il più possibile, per rimanere sveglio e per tenermi caldo. Ogni tanto mi arriva qualche schizzo d’acqua. Per il resto, la prua bianca di Prysmian Group buca il nero della notte e ho la sensazione che il mondo finisca là, 15 metri davanti a me. Dal mio punto di osservazione, è una corsa alla cieca. Ogni tanto mi giro verso poppa, a guardare la scia della barca che è stupenda.

Prysmian Group parla tanto, è un concerto di suoni infiniti. Insomma, qualche momento di ansia lo devo gestire capendo che sarebbe inutile contrastarlo. Più che altro perché capisco che il momento di pausa, di silenzio, di distrazione, qua non esiste. Sapere di non potermelo permettere e, soprattutto, immaginando una vita senza poterselo permettere, mi procura angoscia. Questa riflessione mi suggestiona e si traduce in una ventina di minuti di mal di mare, fino a quando mi riprendo mangiando dell’ottimo riso cucinato da Pedote con la pentola a pressione. Nel corso di un cambio di turno, con Giancarlo affrontiamo l’argomento e lui mi rasserena dicendomi che una barca come Prysmian fa venire il mal di mare a chiunque le prime settimane. Lo credo, è un vero cavallo di razza e, prima di domarlo, è necessario che si addomestichi chi ci sta sopra.

Giancarlo su Pryslian Group. Immagine di Andrea Falcon
Giancarlo su Prysmian Group. Immagine di Andrea Falcon

“Questo è niente”, dico a Giancarlo. “Questo è niente” mi risponde lui. Mi riferisco alle condizioni della nostra uscita. 18-20 nodi di vento, mare leggermente formato, un po’ di freddo, buio, ma comunque interrotto dal lampo intermittente di qualche faro sulla costa o dalla luce di qualche nave in lontananza, alcuni spruzzi in faccia e pochi millimetri d’acqua in pozzetto di tanto in tanto. Questo è niente, mi rendo conto, rispetto a quello che Giancarlo Pedote e i suoi avversari affrontano in una regata e, ancora di più, durante un giro del mondo non-stop in solitario come il Vendée Globe al quale Pedote parteciperà quest’anno partendo domenica 8 novembre alle ore 13:02 da Les Sables d’Olonne, un po’ più a sud di Lorient, dove lui ha deciso di venire a vivere ormai una decina di anni fa per diventare un vero navigatore oceanico. Questo è niente rispetto alla vera solitudine, il vero freddo, la tempesta e tutto il resto. Ci tengo a far sapere a Giancarlo che pur non potendo mai conoscere nella mia vita quello che lui veramente affronta e vive in mare, questa uscita con lui su Prysmian Group quanto meno me lo fa un po’ immaginare, visualizzare. La trovo una cosa veramente affascinante e allo stesso tempo folle. Lo ammiro.

Il giorno dopo scendiamo la passerella che porta al pontile di Prysmian. Per via della bassa marea dall’alto vediamo tutte le barche ormeggiate a La Base di Lorient, tra cui i trimarani della classe Ultime, i Mini 6.50 come se piovessero, i Class 40 e, soprattutto, gli Imoca 60 dei team più forti. L’erba del vicino potrebbe sembrare più verde e, in alcuni casi, magari anche lo è, ma Giancarlo mi dice: “Io sono un uomo che vive felice. Sono arrivato ad avere un 60 piedi, nessuno mi ha regalato niente nel percorso affrontato fino a ora. Per realizzare questo progetto sono partito da lontano e i miei genitori non mi hanno mai dovuto dare nulla. Finalmente andrò a vedere come è questo Vendée Globe, per poi farne un altro. Prysmian Group è una barca bellissima, con la grafica tutta disegnata da mia moglie. Non posso chiedere di più”.

Nel viaggio di ritorno verso Roma ho in mente tante immagini dei quattro giorni passati a Lorient con Giancarlo Pedote e la sua famiglia senza un attimo di sosta. Provo anche a rifare ordine sulle immagini che ritroverò a casa quando scaricherò le schede della mia macchina fotografica e mi rendo conto di avere commesso un altro errore. Non ho scattato neanche un selfie di me e Giancarlo insieme su Prysmian Group durante la navigazione. Un po’ mi dispiace, ma non mi preoccupo. Non farò passare altri otto anni prima di andarlo a ritrovare a Lorient.

Andrea Falcon
giornalista e fotografo freelance

Ora sono qui – Progetto Gallimard

Il futuro è qui, ora.

Il rumore dell’acqua che sbatte contro la barca, ascoltato dalla pancia della barca, è assordante. Si unisce a tanti altri rumori, colpi, strusci, scricchiolii, come il peggiore degli strumenti musicali di un’orchestra di musicisti che fanno a gara per chi disturba di più.

Con il tempo mi sono abituato a questi rumori. Mi parlano. Mi dicono se la barca sta bene, se le vele sono regolate bene.

Mi sono abituato a ignorare i rumori che possono ignorare e ascoltare solo gli altri.

Per fortuna, per sopravvivenza, altrimenti non potrei pensare, riflettere.

 

Questi IMOCA sono delle macchine da guerra, progettare per andare veloci.

Non gli importa se sei dentro di loro.

 

Sono al carteggio, che qui si fa con un computer. Qui dentro tutto è attaccato con viti, scretch, supporti. E anche io mi devo tenere.

 

Mi sono abituato anche a questo.

Per fortuna, per sopravvivenza.

 

Rotta a 154°. Il mare è mosso. Un flusso depressionario sta attraversando la nostra zona di navigazione. Litigano, il mare e le nuvole. E la barca se la ride, surfando, dimenticandosi che sono dentro di lei. Tanto lei è sicura. E lo sono anche io.

 

È una buona barca. Mi fido di lei.

 

Esco.

 

Il rumore dell’acqua che sbatte contro la barca, ascoltato fuori dalla pancia della barca, è freddo.

L’acqua si rompe in mille gocce che fanno male. Sono fredde, fa freddo.

 

Abbiamo scelto la nostra rotta, barca del mio cuore. Devo metterti in assetto a dovere. Ti cambio vela. Devo fare in fretta. I passaggi sono ben organizzati nella mia mente: un elenco da percorrere con forza e velocità.

 

Con questa nuova configurazione di vele saremo più efficaci

I miei figli mi aspettano, vai veloce, vai veloce!

 

Guardo gli strumenti: 29 nodi. Veloci, ma non abbastanza per rincorrere il tempo e arrivare alla meta, che sembra non arrivare mai, nonostante la velocità o l’illusione di essa.

 

La mia mente vorrebbe che il tempo passasse veloce e eccitata inizia ad andare veloce, supera il presente, si proietta nel futuro… vedo il mio rientro al pontile, vedo l’abbraccio alla mia famiglia, vedo il silenzio.

 

Mi distraggo, un errore: il tempo guadagnato adesso lo devo restituire.

 

Piano mente, rallenta.

 

Devo tornare al presente.

 

Un respiro.

 

Un altro respiro.

 

Riordino il pozzetto, controllo che tutto sia in ordine: su queste imbarcazioni gli errori si pagano cari.

 

Il corpo va deciso, insieme alla mente, perfettamente sul ritmo di un rock-and-roll danzato con la barca. Né troppo veloce, né troppo lento. E il tempo è riempito perfettamente.

 

Ora sono qui. Sono nel qui e ora.

 

Sono in barca, sto facendo una regata. I miei figli qui, ora. Loro sono nel presente, Io sono nel presente.

Il futuro (o la mia immaginazione di esso) è qui, ora, attraverso aspettative che così si trasformano in motivazioni da utilizzare qui, ora.

 


 

Il passato è qui, ora.

 

Sono immobile. Non posso muovermi. Se mi muovo il mio corpo percepisce il calore. Abbiamo studiato a lungo un sistema per riuscire a riposare bene: un puff impermeabile pieno di biglie di polistirolo, riesco ad adattarla ai minuscoli spazi di questo Mini.

 

La mia prima barca… Che adesso non avanza. È immobile come me. Aspettiamo il vento, una nuvola che lo generi. Tutto è pronto per sfruttare il primo alito di vento.

 

Ma il vento non arriva.

 

In questa immobilità la mente si ribella. Vorrebbe che il tempo passasse veloce, vorrebbe spingere la barca. Immagina gli altri che vanno veloci. Io non so dove siano gli altri, sul Mini non si può sapere. Non so se gli altri vanno veloci. So che io sono lento. La barca è lenta.

 

Frustrata, la mente inizia a indugiare su vecchi pensieri, vecchie emozioni… si fa catturare dal passato.

 

Non sono più qui.

 

Sono in biblioteca a scrivere il mio primo libro. Scrivo, leggo, correggo.. sperando di poter un giorno avere una barca e uno sponsor, questa barca e questo sponsor, che mi permettono di navigare veloce.

 

Sono sul Jacaranda a togliere il gasolio dalla sala macchine, sentendo i rumori di una barca che non è mia e di cui devo prendermi cura per ancora 5 giorni, sognando di poter un giorno avere una barca, da regata, e poter navigare veloce.

 

Sono a Le Havre. Sto pulendo il ponte di un open 50, alzo la testa e vedo attorno a me altre barche che tra 6 giorni partiranno per il Brasile. E sogno un giorno di essere tra loro, e poter navigare veloce.

 

La vita che mi ha portato qui, spinta del desiderio di poter navigare veloce, adesso mi guarda beffarda immobile ad aspettare con la mente che corre veloce nelle valli del passato.

 

Un rumore.

 

La vela parla, mi chiama: c’è del vento !

 

Mi porta al presente, mi lancia una cima e mi trascina di nuovo qui, ora. Qui c’è qualcosa. Ora c’è qualcosa.

 

Esco, regolo la randa e la vela di prua.

 

Mi guardo intorno.

 

Qui c’è qualcosa, ora c’è qualcosa. L’oceano, l’orizzonte.

 

Ora sono qui. Sono qui, ora.

 

Sono in barca, sto facendo una regata. I libri sono nel mio presente, il Jacaranda è nel presente, il mio passato è nel presente. Qui, ora.

 


 

Il presente è tutto ciò che abbiamo. Il passato non esiste, se non nelle esperienze fatte.

Il futuro non esiste, se non nella motivazione.

 

Troppo spesso la mente vuole comandare il ritmo del tempo: vuole farlo andare veloce per far diventare il presente, passato; vuole farlo andare lento per NON far diventare il presente, passato. Vuole vivere il futuro, non vuole viverlo…

 

Non è possibile fare andare il tempo più o meno veloce. Puoi solo fare più o meno cose in uno stesso tempo. Ma in entrambi i casi il rischio è quello di perdersi il qui, ora perché  catturati dal ricordo del passato o persi nell’illusione del futuro.

 

È un peccato, perché a dispetto di ciò che crede la nostra mente, o ciò che vuole farci credere, tutto vive qui, ora.

Come se foste qui

Il 27 maggio, Prysmian Group è tornata in mare: il varo di una barca, anche se non è il primo, è sempre un momento emozionante ed importante da condividere. Abbiamo invitato i giornalisti a porre delle domande a Giancarlo con lo spirito “Come se foste qui..”. 

Sette giornalisti hanno aderito all’iniziativa ed è stato come se fossero qui: ecco le risposte con una panoramica sulle emozioni del varo, le curiosità della nuova regata che partirà a luglio e i pensieri sulla futura partenza del Vendée Globe. 

 

Il varo

C’è qualcosa su cui avreste voluto avere più tempo di lavorare prima del varo? (Alberto Morici – SailBitz)

Il cantiere invernale a causa del lockdown è stato prolungato e questo ci ha permesso di completare anche la gran parte dei lavori previsti per l’estate. Mi sento pronto per il varo, sono contento di ricominciare a navigare e testare tutto ciò che è stato fatto nel programma invernale. Ora la nostra priorità è andare in mare e provare tutto. 

 

Quali sono le modifiche più importanti apportate allo scafo e all’attrezzatura durante questo lungo periodo in cantiere? (Giulio Guazzini – Rai)

A bordo di Prysmian Group durante il cantiere invernale del 2020 ci siamo concentrati molto sull’affidabilità della barca. Non abbiamo lavorato su upgrade ma abbiamo cercato di migliorare e rendere il più affidabile possibile tutto ciò che era già installato a bordo, cercando di adattarlo al mio stile di navigazione.

Per me un primo Vendée Globe su una barca a foil è già una grande sfida: queste barche sono in grado di esprimere delle velocità impressionanti. Non ho creduto necessario aumentare la potenzialità della nostra barca, ma abbiamo cercato di sviluppare al meglio ciò che già può esprimere. Il cantiere era finalizzato a rendere la barca pronta per il Vendée Globe 2020. 

Prysmian Group è una barca a foil di prima generazione e ha partecipato al Vendée Globe 2016 con altre 6 barche a foil. In questa edizione dopo quattro anni ci saranno otto, nove barche dotate di foil di seconda generazione con dei tip molto più importanti e molto più sottili. Gli IMOCA di nuova generazione possono esprimere delle velocità incredibili come abbiamo visto nei video circolati in questi giorni sul web. Inoltre, ci sono altre cinque barche, progettate prima del 2016 che hanno messo in opera dei foil di seconda generazione.

Oggi sulla carta abbiamo una barca che può situarsi a metà classifica per le performance ma chiaramente il nostro punto forte è l’affidabilità. Prysmian Group è una barca che ha già partecipato ad un giro del mondo, una barca robusta e sicura e non mi preoccupano i 30 kg in più di peso. Per quanto mi riguarda il Vendée Globe prima di tutto è un’avventura ancor prima che una regata. Pur essendo competitivo la mia priorità è la sicurezza dell’imbarcazione che deve superare un giro del mondo. I nuovi progetti dovranno dimostrare la loro affidabilità mentre la nostra imbarcazione l’ha già provata. Questo sarà un fattore che mi permetterà di essere confidente e cercherò di esprimere le potenzialità della barca al meglio. 

 

Ogni volta che si vara una barca le emozioni di un marinaio sono diverse si pensa ai lavori fatti, al mare che l’attende, alle imprese da vivere insieme barca e velista. Quali sono le tue personalissime emozioni per questo varo dopo oltre due mesi di lockdown? (Fabio Colivicchi – Saily)

Dopo questi mesi di confinamento è una grande emozione tornare in mare e soprattutto riscoprire che ciò che abbiamo avuto gratis, alla normale portata tutti i giorni è qualcosa di estremamente prezioso. Sarei disposto a pagare a peso d’oro per avere sempre la possibilità di vivere il mare che oggi per fortuna è tornato accessibile a tutti, seppur con qualche restrizione.

Dentro di me c’è un grande senso di pace e di felicità nel vedere che il progetto, nonostante tutti i problemi che il Coronavirus ha inflitto alla società ha resistito e può riprendere il suo cammino verso il Vendée Globe. Il mio è anche un sentimento di gratitudine e gioia per sentirmi progredire verso un momento importantissimo della mia carriera come il primo Vendée Globe. Il mio sguardo adesso è completamente proiettato al presente e anche al futuro per cercare di fare un’ottima gestione del tempo in funzione della data dell’8 novembre, data della prevista partenza per il Vendée Globe 

Varo di Prysmian Group dopo il cantiere invernale
Varo di Prysmian Group dopo il cantiere invernale

 


Ripensando al periodo di confinamento causato dall’epidemia di COVID-19

Come ha reagito il mondo della vela oceanica a questo periodo della pandemia, come si sono mobilitati i navigatori, se l’hanno fatto? (Fabio Colivicchi – Saily)

La vela oceanica ha reagito al lockdown cercando di lavorare in equipe ridotte per ssicurare alle persone il distanziamento sociale. Noi siamo stati i primi ad interrompere i lavori per un senso di solidarietà con il mio paese, l’Italia. Durante il confinamento ho continuato a lavorare a pieno regime un po’ come tutti i giorni ma allenandomi a casa. Ho lavorato al computer su dossier organizzativi che riguardavano i materiali di rispetto, la cambusa, i vestiti e altri punti chiave.

Ho continuato a studiare in modo assiduo meteorologia, strategia e software di navigazione. Non mi sono mai sentito bloccato o nella condizione di perdere tempo piuttosto ho cercato di riorganizzare la vita in funzione dello scenario dato e ottimizzare il tempo e le condizioni a disposizione nel migliore dei modi.

 

Come pensi il tuo sponsor viva il suo impegno in un momento come quello attuale: il mantenere un impegno per una sfida planetaria come il Vendée Globe viene percepito come un rischio eccessivo o come una forma di fedeltà testimonial del brand che dà valore all’etica aziendale? (Giuliano Luzzatto- Press Mare)

Il Coronavirus con tutti gli effetti del lockdown ha sorpreso tutti dagli organizzatori delle regate, agli sponsor, agli skipper. Tutti i nostri planning e le date di scadenza sono stati modificati ma noi abbiamo già fatto 95 scalini sui 100 da percorrere. Quindi l’idea di fermarsi a questo punto avrebbe lasciato un senso di incompiuto per tutti.

Come vedo di concerto con tutti gli altri sponsor che accompagnano i nostri progetti anche il nostro sponsor e di questo ne sono molto fiero e lo ringrazio infinitamente ha deciso di supportarmi in questo momento di difficoltà e permettermi di portare i suoi colori su una linea di partenza così importante come quella del Vendée Globe 2020.

 

Prysmian Group al cantiere
Prysmian Group al cantiere durante il confinamento

 


La nuova regata: la Vendée Articque

Quali occasioni di confronto ci saranno tra le barche e gli skipper prima del via al giro del mondo in solitario a novembre? (Giulio Guazzini – Rai)

Prima del Vendée Globe ci sarà una regata che partirà il 4 luglio con un percorso da Les Sables d’Olonne con waypoint al Circolo Polare Artico tra Islanda e Groenlandia, Azzorre e ritorno a Les Sables. Un percorso di circa 3500 miglia in cui dovremo affrontare dei cicli depressionari importanti e potremo capire se abbiamo lavorato bene nel cantiere invernale. 

 

La mia domanda riguarda la nuova regata, la Vendée Artique – Les Sables d’Olonne. Mi piacerebbe sapere un tuo commento riguardo alla rotta: le difficoltà e quali saranno le scelte più importanti e i passaggi chiave della regata. (Alberto Mariotti – Vela e Motore)

È una rotta nuova che trovo molto interessante ed affascinante perché non abbiamo mai disputato in cui si naviga così a nord, fino alla Groenlandia. Credo che i passaggi chiave saranno i flussi depressionari che normalmente arrivano a sud dell’Islanda piuttosto scavati, importanti.

La gestione delle depressioni che incontreremo quando saremo in Groenlandia e dovremo scendere sarà un passaggio a livello molto importante della regata di cui dovremo tenere conto per esprimere al meglio le nostre possibilità. In ogni caso sarà una rotta tutta da scoprire e sarà interessante fare un punto della situazione al termine di questa regata estiva e fresca, come la definirei. 

onda sull'Imoca Prysmian Group
©MARTINA ORSINI 2019

 


Pensando al Vendée Globe…

Giancarlo siamo arrivati al primo passo prima del grande salto: anche se il programma è stato sballato da cause di forza maggiore, ti senti pronto? (Alberto Morici – Sailbitz)

Indubbiamente il programma di quest’anno è stato completamente stravolto a causa del lockdown. Credo che non si è mai pronti per un giro del mondo, poiché c’è sempre qualcosa da migliorare o imparare. Ad un certo punto però bisogna responsabilizzarsi su quelle che sono le proprie competenze e sentirsi pronti.

È importante avere fiducia nelle proprie capacità e sapere che qualsiasi cosa accadrà nel cammino avremo le competenze tecniche e la forza mentale adatta per risolvere la situazione. Indubbiamente c’è sempre qualche punto su cui si vorrebbe migliorare e si vorrebbe essere più performanti. Comunque a cinque mesi dalla partenza del Vendée Globe posso dire che mi sento nei timing, pronto per affrontare questa grande avventura. 

 

Questo stop agli allenamenti e alle prove in mare hanno in qualche modo penalizzato Giancarlo nel debutto al Vendée Globe rispetto a chi l’ha già fatto e sa cosa aspettarsi? (Giuliano Luttazzo – Press Mare)

Il lockdown ha penalizzato il team Prysmian come è accaduto a tutti gli altri team. La nostra strategia è stata di non pensare a quello stop forzato come un handicap ma come un’opportunità per riflettere con più calma. L’accesso ai cantieri era quasi proibito o consentito ad una persona alla volta, così ci siamo fermati a riflettere su molti dossier con più tempo del previsto. Abbiamo  tratto benefici in questo genere di scambi.

Lo stop c’è stato per me come per tutti ma questo rafforza ancora la mia idea di navigare semplice, come si dice qui in Francia, comme le bon marin. Parto con questo spirito per il Venée Globe che sarà un’avventura molto lunga più che una regata. Cercare di portare una barca a compiere il giro del mondo con meno danni possibili sarà un grande challenge ed è la nostra priorità. Per essere piazzati bene in classifica, bisogna per prima cosa riuscire a terminare la regata che non è un risultato ovvio. Le imbarcazioni sono sottoposte a importanti velocità e il percorso è piuttosto complesso soprattutto per chi lo fa per la prima volta come me.

 

Qual è il tratto di mare che più temi e quale ti affascina di più del Vendée Globe che dal sogno tenacemente inseguito è diventato realtà? (Francesca Lodigiani – Il messaggero)

Il tratto di mare del Vendée Globe che mi impensierisce di più è l’Oceano Indiano, sarà il primo nuovo oceano che incontrerò, a parte l’Atlantico sud che ho potuto sperimentare in diverse regate. In particolare ci sono dei tratti come quello del Cap des Aiguilles, con delle correnti molto forti a sud di Capo di Buona Speranza. In quella zona si può generare uno stato del mare molto complesso con onde definite Les vagues scélérates che sono molto complicate da affrontare in navigazione.

Per quanto riguarda il tratto che più mi affascina è la grande traversata del Pacifico, dalla Nuova Zelanda fino a Capo Horn che sarà un tratto di mare che un po’ sognano tutti i veri marinai come prova. Incontreremo grandi centri depressionari che mi spingeranno fino a Capo Horn per poi risalire nell’Atlantico meridionale nella rotta per tornare a casa. 

 

Malingri, Bianchetti, De Gregorio, Di Benedetto, quattro velisti completamente diversi tra loro nel carattere e nelle motivazioni. Anche tu sei unico e completamente diverso per formazione e percorso ma c’è qualcosa non tecnica che ruberesti a qualcuno di loro? (Roberto Imbastaro – ItaliaVela)

Indubbiamente Malingri, Bianchetti, De Gregorio e Di Benedetto sono dei grandissimi velisti di cui nutro un grande rispetto. Se dovessi scegliere a chi rubare la valigetta preferirei Alessandro Di Benedetto per come mi ha impressionato sulla pianificazione riuscita del suo giro del mondo sul Mini 6,50. Ha dato grande prova di carattere marinaresco anche nella preparazione del suo progetto Vendée Globe, per come l’ha gestito a dispetto delle risorse che erano in suo possesso. Credo che sia una grande persona e un gran marinaio e se potessi mettere un po’ di Aleessandro di Benedetto nella valigetta prima di partire per il Vendée Globe lo farei con molto piacere. 

Giancarlo Pedote in navigazione

La solitudine: conoscere meglio sé stessi

vivere in solitudine

Vivere in solitudine viene spesso interpretato nella connotazione negativa ma l’esempio degli sportivi e Giancarlo ci insegnano a ricercare l’occasione intrinseca, oltre il disagio.

La solitudine, dal latino solitudo, indica il sentimento umano di sentirsi solo o voler essere solo, in questo caso si oppone alla socievolezza. Nel mondo anglosassone, di solito parco di sinonimi, invece in questo caso si distingue bene la connotazione positiva, in solitude e quella negativa in loneliness. L’equilibro tra i due poli opposti è la ricerca di tutta una vita e molti fattori contribuiscono a farci interpretare il vivere in solitudine in maniera differente.

Un fattore potrebbe essere l’età: un giovane vivrà con entusiasmo un viaggio da solo e sarà per lui una prova per costruire la propria autostima. Nei riti di iniziazione tribali spesso i giovani per entrare in età adulta devono superare un periodo isolati per dimostrare di riuscire a sopravvivere. Ancora oggi il passaggio dalla casa familiare ad un’altra residenza per motivi di studio, di lavoro o di nuovi legami affettivi è vissuto come un passaggio chiave nella vita di una persona. Al contrario, per una persona anziana ritrovarsi sola potrebbe essere traumatico.

Un altro elemento da considerare è il tempo: percepiamo diversamente la solitudine se costituisce un momento o se diventa una situazione prolungata. Nella normale quotidianità viviamo e ricerchiamo dei momenti di solitudine, ad esempio per riflettere su qualcosa, per fare yoga o per pregare. Gli artisti e i creativi si isolano per dipingere, scrivere nel silenzio e nella tranquillità del vivere in solitudine. Sono piccoli momenti in cui si apprezza la solitudine come occasione di introspezione e creatività per poi tornare alla normale socialità.

Una solitudine prolungata può essere cercata e voluta, come quella dei monaci che ricercano un contatto con la divinità. Ma vivere in solitudine può essere una situazione che si subisce a causa di una malattia, della perdita di una persona cara o della prigionia.

La solitudine degli sportivi

Approfondiamo degli esempi di solitude che ci vengono dagli sportivi, per aiutare anche chi vive la solitudine negativamente a mitigare questo sentimento.

Per le imprese in montagna, un grande esempio è Walter Bonatti alpinista ed esploratore che si cimentò in memorabili scalate in solitaria, come la conquista della parete nord del Cervino nel 1965. In mare ricordiamo Alessandro di Benedetto che nel 2009 intraprende il giro del mondo in solitario a bordo di un mini in 268 giorni.

Per citare solo due esempi tra le migliaia di sportivi che hanno tentato imprese che sono divenute ancora più memorabili per il fattore solitudine. L’impresa sportiva, nella natura imprevedibile, senza aiuti, contando solo sulle proprie forze è anche lo scenario della vela in solitaria e in particolare del Vendee Globe.

Giancarlo è stato intervistato su GQ Italia da Sara Canali e ha parlato proprio del suo mestiere di navigatore solitario e del suo progetto per il Vendee Globe. Lo skipper di Prysmian Group ci spiega come affronta la quarantena e come per lui vivere in solitudine sia da sempre nella sua indole.

Come mai hai intrapreso, nella tua carriera, la strada della vela in solitario e che cosa ci trovi in questa voglia di viaggiare da solo?

La solitudine è parte del mio DNA: fin da bambino mi attirava il fatto di stare da solo. Credo sia una caratteristica venuta al mondo insieme a me, insieme al mio corpo fisico. Per esempio, nel periodo universitario sentivo il bisogno di viaggiare per conoscere il mondo ma non potevo immaginare di viaggiare in compagnia. Amavo partire da solo e vivere in solitudine il mio viaggio.

Penso che restando da soli si abbia la possibilità di ascoltarsi meglio; al contrario, circondati da più persone e in un contesto di vita frenetica come la nostra, è più difficile poterlo fare. A me sono sempre piaciuti i momenti di introspezione, di silenzio, momenti in cui è possibile fare un’analisi della propria vita. Sono occasioni in cui è possibile chiedersi se siamo davvero felici o no, dove vorremmo essere in quel momento e perché, ma anche se siamo contenti di quello che stiamo facendo; queste sono le domande che mi sono sempre posto. È per questa mia indole solitaria che ho la tendenza naturale a prediligere gli sport individuali, anziché quelli di squadra.

Questo spirito mi ha spinto verso la decisione di provare a navigare in solitario. Inizialmente come esperimento, per poi scoprire che era lo sport che mi veniva più naturale, in cui mi sentivo più a mio agio. Ho una predilezione per la navigazione solitaria perché si adatta molto alla mia personalità ma non sono un essere asociale. Mi piace vivere in solitudine, ma mi piace anche condividere e navigare in gruppo con altre persone, infatti ho fatto anche l’istruttore di vela.

 

onda sull'Imoca Prysmian Group
2019 © Martina Orsini

Potresti dare qualche consiglio a chi questo periodo particolare di quarantena lo sta vivendo da solo? Potremmo paragonare questa situazione ad una navigazione in solitario… per prepararti alle tue traversate, fai un allenamento per vivere in solitudine? Esiste una strategia per riuscire a sopravvivere a questa situazione che a volte fa sentire emotivamente sulle montagne russe?

Dover vivere in solitudine e confinamento a causa dell’epidemia in corso, non è una situazione cercata da nessuno, né tantomeno prevista. Però oggi questa è la realtà e come tutte le realtà va affrontata: per quanto noi desideriamo di essere altrove, non possiamo.

Non conosco un allenamento alla solitudine: la chiave per me è ritrovarsi spesso in una situazione per sentirsi allenati, preparati ad essa.

Purtroppo, però, non possiamo cambiare questa situazione, per cui è necessario interiorizzarla e cercare un modo per adattarci affinché questa esperienza abbiamo meno conseguenze negative possibili. Credo che in realtà, dietro tutte le situazioni che noi riteniamo sfavorevoli o magari non particolarmente piacevoli, si nasconda sempre un’occasione.

Non è mai tutto nero: c’è sempre un’occasione, che magari è difficile da cogliere, però è lì. L’esperienza che stiamo vivendo, ci può permettere di uscire dal modus vivendi a cui siamo stati abituati fino ad oggi. La quantità di cose da fare ad un ritmo incalzante non ci dà la possibilità di fermarci un attimo a chiederci: sono contento? La mia economia familiare magari va bene, la mia casa è comoda ma io come mi sento, io sono contento? Se non sono contento perché e che cosa posso fare per cambiare ciò che non mi rende contento? Ovviamente non dobbiamo focalizzarci sul momento presente, sui disagi che viviamo in questo particolare momento e che non possiamo cambiare. Si tratta di riflettere sulla vita in generale.

Trasformare un handicap in vantaggio

Ma io credo che questa sia una riflessione che dovrebbe andare ancora più in profondità. A mio avviso, quanto più una persona è tranquilla e serena dentro di sé, quanto meno è impattato da un agente esterno come questo che ci sta coinvolgendo tutti. Se una persona è perturbata di per sé, nel suo quotidiano, questa situazione di solitudine forzata diventa un catalizzatore. Se al contrario una persona vive in uno status normale di quiete, se ha trovato la sua felicità, vivere in solitudine la colpisce molto meno.

Spero che questa situazione possa permettere a tanti di riflettere per poter cambiare abitudini consolidate ma non sempre positive. Osservando, possiamo ad esempio accorgerci che dobbiamo prenderci di più cura di noi stessi, oppure che dobbiamo curare le relazioni umane intorno a noi. Magari abbiamo l’opportunità di riflettere per trenta minuti in più, e mentre beviamo un caffè scopriamo che dovremmo chiamare degli amici cari che avevamo trascurato. Ognuno deve lavorare sui suoi fronti.

Credo che una frase che possa farci riflettere molto e spronarci sia: trasformare un handicap in vantaggio. Questa situazione esiste, è reale: cerchiamo di trovare in questo nero quanto più bianco possibile; trasformiamo la situazione a nostro vantaggio.

Per metterla un po’ sul lato comico, ti sei mai ritrovato dopo tanti giorni di navigazione ad avere il tuo Signor Wilson? A parlare con un oggetto, ad aver bisogno di parlare con qualcuno e non avere nessuno, come hai gestito la situazione?

No onestamente non mi sono mai trovato un Signor Wilson, come accade al protagonista del film “Cast Away”. Gestisco una navigazione in solitaria come una lunga surfata interminabile. È un immersione totale nei tuoi sensi, sei completamente avviluppato da tutto questo mondo esterno che è semplicemente mare, cielo, sole, stelle.Tutti questi elementi naturali si ripetono e in questo sfondo costante ci sono i pensieri, che sono continui. Da un lato sono molto impegnato a manovrare la barca e a prendere delle scelte; questo occupa l’80-90% del mio tempo. Nel 10% del tempo restante ho modo di riflettere e di pensare a qualcosa della mia vita, ai miei amici. Per esempio a me piace pensare ai miei figli, a cosa staranno facendo e alla fine come sarà bello vederli quando tornerò a terra.

Io vivo così la mia navigazione in solitaria, non mi sono mai sentito completamente isolato a vivere in solitudine. Credo che il giorno in cui percepirò dentro di me sintomi di disagio, dovrò rimettere in discussione il fatto della navigazione in solitaria.

Naturalmente l’attitudine con cui si vive un periodo di confinamento dipende dalla persona che sei, dalla tua formazione. Tu hai già un’indole più solitaria di carattere, come dicevi prima, e nel tempo hai raggiunto una serenità. Ci sono persone invece che fanno più fatica a vivere in solitudine e si sono trovati a fronteggiare questa prova contro la loro volontà. Possiamo paragonare questo momento che stiamo vivendo a una traversata in barca a vela in solitario? Secondo te esiste un parallelismo che può aiutarci a stare a galla, per usare una metafora, in modo che la nostra barca non affondi?

Certo, se faccio un parallelismo è come quando il marinaio naviga nella depressione e affronta il brutto tempo, la pioggia e il freddo. Diversamente da come si potrebbe pensare, io navigando sulla mia barca non sto comodo: sono sempre umido e affronto molti disagi. In certi momenti non vedo l’ora che passi la depressione per ritrovare l’anticiclone e il sole, ma c’è un intervallo di tempo da vivere cercando la gioia e il piacere in piccole cose.

Seguendo questo parallelismo, potrei consigliare di darsi tanti piccoli obiettivi giornalieri. Bisogna cercare di fare delle cose che sono capaci di regalarci un sorriso o farci felici. Per esempio potremmo cucinarci un piatto che ci piace particolarmente, ritrovare un bel libro e rileggerlo o rintracciare degli amici.

 

la fatica di vivere in solitudine
2019 © Martina Orsini

In passato avevi consigliato di fare un esercizio: in cosa consiste e cosa ci suggerisci?

Consigliavo di trovare tutti i giorni almeno tre punti positivi della giornata per cui è valsa la pena di essere rimasti in casa. Ogni giorno di confinamento ci può regalare dei momenti positivi, ovviamente se si gode di buona salute. Io mi ritengo fortunato, sto bene fisicamente e psicologicamente e sono a casa con la mia famiglia.

Penso spesso alle persone che in questo momento non stanno bene o che hanno molte preoccupazioni. Queste persone a mio parere affrontano un’altra lotta, un’altra battaglia in cui bisogna solo stringere i denti e tenere duro. Penso ai medici o a tutto il personale paramedico che è obbligato a combattere in prima linea. A tutte le persone che non possono tirarsi fuori dal sistema perché abbiamo bisogno di loro per continuare a poter vivere nelle nostre case. Penso a chi lavora nei supermercati o a chi non viene considerato in questo momento ma prende dei rischi e vorrebbe restare a casa. Noi a mio parere siamo già fortunati e privilegiati a essere in salute e non dover essere sul fronte a lottare.

Momenti belli anche in solitudine

Ogni giornata vissuta in solitudine può regalarci un momento bello. Ad esempio a me ieri è capitato di avere il tempo di mettermi a guardare il sole per cinque minuti di fila. Io ho dei ritmi differenti nella mia vita normale che è fatta di mille decisioni e scadenze continue. Per me è un lusso prendermi un momento di relax, stare cinque minuti con il viso rivolto verso il sole e ricaricarmi di energia. La giornata di ieri mi ha regalato anche questo piccolo momento di gioia e riposo. Domani forse avrò il tempo di aprire un cassetto per scoprire una cosa vecchia e dimenticata che però mi regalerà un sorriso. Durante la quarantena è il momento di coltivare questi piccoli momenti senza dimenticarci della situazione di emergenza.

Mio nonno a 19 anni è stato allontanato da casa: gli hanno dato un fucile ed è partito per combattere in guerra. Oggi, se stiamo bene in salute e non dobbiamo affrontare gravi problemi economici, siamo lontani da questo tipo di sacrificio. Dobbiamo cercare di alleggerire lo sforzo che ci è richiesto nel confinamento a causa della quarantena. Pensare ai sacrifici che i nostri antenati hanno vissuto in passato mi aiuta a razionalizzare e ad avere uno sguardo positivo sul presente.

A novembre partirai per una delle regate più estreme, il Vendee Globe detto l’Everest dei mari, senza assistenza e senza scalo. Partirai da Les Sables d’Olonne, in Francia per ritornare dopo una circumnavigazione del globo allo stesso punto. Il record di percorrenza è di 74 giorni e per te sarà la prima volta che partecipi: come pensi sarà e quali aspettative hai?

Nella mia carriera di velista è un grande traguardo poter fare il giro del mondo, ma cerco di non avere aspettative. L’aspettativa presuppone uno schema che alla fine porta spesso una delusione perché la vita non va mai come previsto. Questa è una delle mie piccole realtà quotidiane: faccio un planning ideale della settimana e poi la settimana non va come mi ero immaginato. A volte arrivano buone sorprese, altre volte cattive sorprese: per questo è inutile farsi delle aspettative. Mi preparo al Vendee Globe con impegno e serietà, perché la sfida che dovrò vivere in solitudine è importante.

Lavoro molto sulla preparazione fisica e mentale e cercherò di fare il mio meglio e di dare il massimo come ho sempre fatto. La mia idea è di avere meno schemi possibili e questo pensiero potrebbe aiutare anche chi vive questo momento con difficoltà. Non abbiamo deciso di vivere in solitudine, chiusi in casa, con un’emergenza sanitaria che attenta alla nostra salute. Viviamo il presente con serenità pensando che il mondo ripartirà, si creeranno nuove occasioni e dovremo rimboccarci le maniche e saperle cogliere. Siamo usciti dalla zona di confort per entrare nella zona di non comfort e ne siamo consapevoli. Ma dobbiamo ricordarci anche, che siamo tutti insieme in questa situazione.

Anche nelle tue navigazioni sperimenti condizioni dure e non è facile viaggiare e vivere in solitudine ma questo ti permette di provare esperienze incredibili. A volte dobbiamo percorrere strade non sempre battute, pericolose e che magari fanno paura, ma che possono dare una prospettiva diversa del mondo. Ad esempio che cieli stellati vedi quando stai navigando da solo sulla tua barca, li avresti mai visti nella vita se non facessi questo mestiere?

Sicuramente no, sono consapevole dello sforzo che mi costa ma anche delle esperienze straordinarie che posso vivere. Fare il giro del mondo a vela è un’esperienza molto dura e a volte si perde la motivazione. Si vive lo stesso isolamento che proviamo in quarantena solo in due metri quadrati di barca che si muove come una giostra volante. Si sbatte continuamente sulle onde ed è difficile fare una doccia o prepararsi un pasto caldo soddisfacente.

I ritmi di sonno sono sempre scombussolati e questo ha un impatto: infatti un altro consiglio che posso dare alle persone è dormire abbastanza. La mancanza di sonno può essere fondamentalmente una delle principali cause per cominciare a presentare segni di insoddisfazione o di nervosismo.

Una stellata la paghiamo con molto sforzo e alla fine i veri piaceri sono i piccoli ritorni alla normalità come sarà per tutti noi finita la quarantena e il vivere in solitudine.

Auguriamo a Giancarlo buon vento per il suo Vendee Globe e buon vento a tutti noi per superare questa regata che stiamo facendo tutti insieme. Tutti su una stessa barca, ognuno forse sulla sua barchetta individuale che se poi le guardi dall’alto sono una grande barca.

Grazie, credo che la strada sia non mollare, stringere i denti e prima di abbandonare la guerra essere veramente certi di aver dato il massimo.

 

 

Il mio Vendee Globe #4PEOPLE. Così io resto a casa e mi alleno

Vendee Globe 4People

Il progetto Vendee Globe di Giancarlo si basa sul concetto di #4PEOPLE, un valore condiviso con gli sponsor Prysmian Group e Electriciens sans frontiéres. Questo concetto si riassume bene nell’affermazione di Hervé Gouyet, presidente di Electriciens sans frontières (Elettrici senza frontiere in Italia). «Siamo tre attori in missione: condividere le nostre energie per aiutare gli altri», chi ha bisogno, ad avere accesso all’energia elettrica.

L’energia elettrica è una risorsa più importante di quello che normalmente siamo propensi ad ammettere: la continua disponibilità la rende scontata. Giancarlo ne conosce bene il valore, in navigazione ad esempio al Vendee Globe deve pensare di vivere a bordo in autonomia elettrica per tre mesi. Mentre noi ormai non ci accorgiamo più del valore della luce che la notte illumina le strade, dando sicurezza a chi le utilizza.

La corrente elettrica ci permette di utilizzare gli elettrodomestici ormai numerosi in tutte le case che ci aiutano in vari lavori. Alimenta i computer e i cellulari che ci permettono di lavorare o restare in contatto con i nostri cari. L’elettricità fa funzionare gli strumenti medici negli ambulatori e negli ospedali e serve per la sanificazione degli ambienti comuni. In questo periodo è più facile rendersi conto della sua utilità: basta pensare a quanto sia fondamentale l’energia elettrica per i tanti malati. Ma anche per tutti noi, quando restiamo a casa: per scaldarci ed alimentare la TV per distrarci.

La riflessione di Giancarlo

È la riflessione di partenza di Giancarlo che, confinato a casa come tutti in questo periodo, continua a prepararsi per il Vendee Globe. « Essere #4PEOPLE, per me e i miei sponsor, è innanzitutto essere solidali con le persone che hanno bisogno. Di energia e acqua potabile, obiettivo principale dell’ONG Electriciens sans frontières che Prysmian Group ha invitato a salire a bordo con noi in questa campagna Vendee Globe; ma anche bisogno di protezione. Tutti abbiamo bisogno di proteggerci e di proteggere i nostri cari, ogni giorno e ancor più in questo periodo. Periodo in cui protezione significa seguire le disposizioni e prendere tutte le precauzioni. Per questo, come già dichiarato, Io resto a casa. »

Il fatto di prendere coscienza, io resto a casa e devo farlo per il bene comune non è scontato. È un’esperienza nuova per quasi tutti: trovarsi a vivere in uno spazio ridotto, seppur il proprio, con una limitazione della propria libertà. Si aggiungono in più anche tante preoccupazioni per se stessi, per la propria salute, per i propri cari, per la propria economia. È una situazione a cui le persone non sono abituate, che ha e che avrà delle conseguenze che scopriremo tutti insieme.

Io resto a casa, non significa smettere di vivere, né smettere di allenarsi

« In questo momento denso di comunicazioni e riflessioni, forse vale la pena fermarsi e osservare. Osservare le proprie reazioni, emozioni, pensieri. Per conoscersi meglio e imparare qualcosa di più su noi stessi e su chi vive insieme a noi », riflette Giancarlo. « Nel mio caso il confinamento significa soprattutto dover imparare a continuare la preparazione per il Vendee Globe in presenza costante dei bambini. 

Non è semplice mantenere costante il livello di produttività e nello stesso tempo essere a disposizione dei bambini che, giustamente, hanno bisogno dei genitori.  Per questo cerchiamo di separare le giornate: cerchiamo di dedicare ai bambini del tempo di qualità durante il giorno, per seguirli in questa nuova esperienza della scuola a casa. Cerchiamo di concentrare la sera tardi, la notte o la mattina presto, il lavoro più di concentrazione. Lasciamo al giorno attività che possono essere (spesso) interrotte, o condivise con i bambini. Penso all’allenamento fisico, il lavoro al computer fatto di sessioni che si possono interrompere e riprendere, la preparazione su temi pratici come cibo e abbigliamento… »

I diversi lavori di preparazione al Vendee Globe

Prepararsi per il Vendee Globe implica tanto lavoro alla scrivania: studio della meteorologia, dei software di navigazione, delle istruzioni e percorsi di regata. Il lavoro di organizzazione di file di verifica dei pezzi, dei file operazionali e di pianificazione: questi studi si fanno anche se “io resto a casa”.

C’è poi tutto il lavoro di “preparazione del quotidiano” a bordo: come l’alimentazione, per la quale è necessario prepararsi con largo anticipo. La selezione e scelta dell’abbigliamento, anch’esso da sperimentare per affrontare tutte le differenti condizioni climatiche che si possono incontrare in un Vendee Globe. Si può continuare a lavorare su una serie di temi che spesso rischiano di venire accantonati per privilegiare le priorità legate all’imbarcazione.

Come reinventare l’allenamento a casa

Per continuare a fare altri lavori in modalità “io resto a casa”, invece, è necessario adattarli al nuovo modus vivendi. È il caso delle riunioni con il team, gli sponsor e i collaboratori, che diventano virtuali grazie alle videoconferenze. È il caso dell’allenamento fisico quotidiano, necessario per un atleta. Così, ad esempio, le sessioni di allenamento in piscina e corsa di gruppo lasciano spazio ad allenamenti di rafforzamento muscolare. La palestra si trasferisce in garage o nel salotto di casa, con sessioni di cardio e HIIT per allenarsi sul posto o quasi.

« Ho sempre fatto molto sport ed è parte integrante della mia vita quotidiana. Anche se in questa particolare fase siamo chiusi in casa, non trascuro questo aspetto della preparazione della Vendee Globe », spiega lo skipper di Prysmian Group, che naviga assieme ai colori di Electriciens sans frontières. « Al momento, sto sostituendo le sessioni all’aperto con altre per il rafforzamento muscolare, (flessioni, addominali…), stretching e cardio-fitness, in particolare con esercizi di salto con la corda nel mio garage. »

 

allenamento a casa per Vendee Globe

 

“Mens sana in corpore sano”

Giancarlo ricorda e applica la famosa citazione della decima Satira di Juvenal: “Mens sana in corpore sano”, mente sana in corpo sano. Anche nell’antichità alcuni filosofi e studiosi avevano capito che per mantenere serena ed attiva la mente, l’esercizio fisico aiuta. Questo non vale solo per gli atleti che si preparano ad una sfida estrema come il Vendee Globe ma per tutti.

Per questa ragione Giancarlo cura molto la sua alimentazione e anche in questo periodo di quarantena continua ad avere una dieta equilibrata come sempre. La dieta è un fattore strategico nella vita di ogni atleta professionista e svolge un ovvio ruolo nel miglioramento delle prestazioni.

Di questo Giancarlo è pienamente consapevole e da tempo presta attenzione alla sua alimentazione, adattandola in base al tipo di allenamento fisico che fa. In navigazione, l’alimentazione cambia: deve essere composta da nutrienti specifici e assunta, quasi come una medicina, al momento opportuno.  È importante mantenere la giusta idratazione e l’assunzione adeguata di sali minerali nell’arco di tutta la giornata per compensare gli sforzi.

In questo periodo di confinamento, Giancarlo continua a mantenere una dieta equilibrata, adattandola alla tipologia di allenamento che riesce a fare.

Una dieta equilibrata

« Abitualmente, mangio molta frutta e verdura, che mi forniscono vitamine e minerali e un apporto naturale di acqua per favorire la reidratazione. Al mattino, a colazione, preparo frullati a base di latte vegetale (riso o mandorla, in genere), con frutta e un po’ di miele. Per pranzo e cena, prediligo le verdure crude o cotte e per integrare le proteine, mangio uova e pesce in abbondanza. Nella mia dieta abituale ho sempre mangiato poca carne e tendo a mangiarne sempre meno. Durante questo periodo di quarantena, assumo come integratore supplementare solo la vitamina C, per aiutare il mio sistema immunitario, ma non cambio le mie abitudini », racconta Giancarlo.


Su questi temi, sul continuare a vivere ed allenarsi anche durante la quarantena, Giancarlo è stato intervistato da Fabio Colivicchi del portale Saily. Nella video intervista “Pedote: Il lockdown del navigatore”, Giancarlo spiega il suo modo di allenarsi a casa in questo momento e restare concentrato sul suo obiettivo Vendee Globe.

L’intervista di Saily.it

 

intervista Saily
©Saily.it

Dove ti trovi ad affrontare la quarantena e con quale spirito lo stai facendo?

« Mi trovo a Lorient, a casa mia e il mio spirito è attualmente di pura osservazione. Senza particolare giudizio verso questa situazione. Non ce la siamo cercata, ma oggi è una realtà e come tutte le realtà vanno affrontate. Capisco la gravità della situazione ma riesco a relativizzare: non ci viene chiesto di andare a fare la guerra come è toccato ai nostri nonni. Parlo dei ragazzi della mia generazione, classe 1975. Credo che in fin dei conti restare nella propria casa al riparo in un momento in cui gran parte dell’umanità soffre e tanti sono in pericolo non sia una sfida impossibile. »

Come passi il tempo in questi giorni?

« Le mie giornate in questo periodo sono oltre modo piene forse più piene di quanto lo sono abitualmente nella mia vita normale. Il mio obiettivo resta sempre quello della partenza l’8 novembre per il Vendee Globe: il count down non si è fermato!

Chiaramente in questo momento l’attività è rallentata, mi trovo con i miei due figli, cinque e sei anni, a casa. Naturalmente hanno bisogno del tempo e della disponibilità del loro papà sia per giocare sia per fare i compiti. Cerco di lavorare la notte per recuperare tutto ciò che non riesco a fare di giorno. Allenarsi a casa non è sempre facile, ma in garage continuo gli esercizi che prima facevo all’aperto o in gruppo.

Come ti mantieni vicino alla vela?

Mi sto concentrando sull’organizzazione da fare a terra per poter partire per una regata come il Vendee Globe. Ad esempio a livello di tutti i materiali di rispetto da portare in una regata di questo tipo, senza scalo. Organizzare tutta la cambusa, avere le idee chiare, stilare una lista che sia la più specifica possibile in termini di gusti e di calorie. In modo poi da trasferire questo file a qualcuno del mio team che si occuperà di acquistare i prodotti. C’è da selezionare tutti i vestiti in termini di base layer, mid layer, cerate, da verificare con il mio sponsor tecnico Helly Hansen. Stiamo cercando di avanzare con la lista e guadagnare tempo per non porsi queste domande a pochi mesi dalla partenza.

In più mi sto concentrando moltissimo sullo studio della meteorologia, sulle analisi delle rotte fatte dai precedenti concorrenti del Vendee Globe. Quindi cerco di catalogare le situazioni tipiche che si possono incontrare durante tutto il percorso della regata. Sto elaborando dei quadri predefiniti su eventuali passaggi depressionari, ad esempio di depressioni che scendono dall’Australia o di fronti freddi che statisticamente sono presenti al largo dell’Argentina. Reperisco tutti i casi più classici da un punto di vista meteorologico che si possono incontrare durante il percorso. Su questa base elaboro delle risposte per adottare la strategia migliore in base al quadro meteo al momento del Vendee Globe. »

Quali riflessioni ti suscita questa esperienza?

« Questa esperienza mi suscita sensazioni simili a quando vivo delle regate in solitaria perché chiaramente noi navigatori siamo confinati su una barca. I mezzi di comunicazione sono pochi e lo spazio del confinamento è molto più ristretto in barca che in una casa. Un fattore importante anche al Vendee Globe è la gestione del sonno: spesso non si hanno ritmi regolari e le ore di riposo sono poche. La scomodità di questo genere di barche crea difficoltà in tutte le abitudini quotidiane come consumare un pasto caldo o farsi una doccia.

Quindi direi che questo momento di confinamento lo vivo senza particolari difficoltà perché è molto più leggero di quello a cui sono abituato normalmente. Fondamentalmente resto molto concentrato sui miei obiettivi, scadenze e programmi perché voglio ripartire in assoluto sprint e vigore quando tutto questo sarà finito. Per il resto lo vivo questo periodo indefinito godendo della presenza dei miei figli e di mia moglie, senza perdere mai la concentrazione. »


L’importanza del pensiero positivo

« L’altra sera ho fatto una riunione in video call con il mio preparatore mentale e il mio chinesiologo, con i quali sono anche amico. Abbiamo parlato di questa pandemia, della necessità di proteggere se stessi e gli altri con rispetto, buon senso, sistemi semplici e naturali per stimolare le proprie difese immunitarie.

Soprattutto abbiamo parlato dell’importanza di mantenere un pensiero positivo, di combattere sia l‘indifferenza sia il panico. In questo momento di confinamento, il nostro stato d’animo non cambierà la realtà delle cose, non influenzerà il decorso della pandemia. L’unica cosa da fare è cercare di essere d’aiuto e mantenere le nostre menti positive come faccio io concentrandomi sul mio progetto Vendee Globe. » 

A casa abbiamo fatto un cartello di divieto di entrare, e lo abbiamo messo nella porta di uscita, con uno smiley perché non è un divieto cattivo: è un divieto che fa bene a noi stessi e al mondo. Un divieto #4PEOPLE».

Affrontare una depressione

« A volte penso che vivere una pandemia sia come affrontare una depressione in una semplice traversata o al Vendee Globe. All’inizio rinforza il vento e il mare si ingrossa, il cielo si copre e la pioggia è battente. La barca viene sferzata da onde importanti e sai che inizia un momento duro. Diventa sempre più difficile svolgere tutte le azioni quotidiane più normali, come farsi da mangiare e dormire. 

Poi arriva il momento in cui ci navighi contro, in cui la incontri in tutta la sua forza. Sei completamente concentrato nel momento presente, spendi tutta l’energia per tenere in sicurezza la barca e non sai quanto durerà. La barca rolla e beccheggia sempre più forte, tu ti bagni in continuazione a causa di pioggia e onde. 

È il momento in cui dobbiamo metterci in modalità casco e visiera, guanti e mascherina, e cercare di tenere duro il più possibile. Sappiamo che presto attraverseremo il centro depressionario, quindi il fronte freddo normalmente associato e a questo seguirà la coda della depressione. »

Resistere per uscirne più forti

« Si capisce che tutto sta per finire, che poi il vento calerà pian piano, la pioggia smetterà, la barca riprenderà un’andatura tranquilla. Il sole caldo asciugherà i vestiti e le ossa del corpo intirizzito, potrai di nuovo mangiare pasti completi e riposare veramente. Allora si apprezzano tutti i piaceri semplici delle azioni normali quotidiane, la bellezza della natura e ci si sente più forti e consapevoli. Si sa di aver passato la depressione, di aver vissuto tutta l’esperienza, di aver sofferto, faticato ma di avercela fatta.

Spero che dopo la pandemia anche le persone riusciranno a far tesoro di questa difficile esperienza e ad apprezzare  le cose importanti della vita. Questo è il mio augurio per l’umanità.  Speriamo che questa situazione si risolva, reagendo per quanto possiamo in maniera propositiva: cerchiamo di aiutare medici, infermieri, farmacisti. Rispettiamo le regole, mantenendoci sempre positivi, tutti uniti come un team, così quando usciremo dal sistema depressionario, potremo ritornare a navigare più forti di prima. Che sia per il Vendee Globe 2020 o per il Vendee Globe che è la vita di ognuno di noi. Intanto Io resto a casa e mi preparo. »

 


Approfondimenti

Fabio Colivicchi è direttore e editore di Saily.it. Laureato in Giurisprudenza con una tesi sugli Interessi Collettivi nel Diritto Amministrativo. Da 35 anni nel mondo della vela come regatante, istruttore, giornalista, imprenditore, dirigente. Fondatore del mensile Fare Vela, per 16 anni responsabile della comunicazione FIV, ideatore e organizzatore del Vela Show di Viareggio, fondatore e direttore del media globale e web TV Saily.it. Conduttore e telecronista. Consulente del programma di Rai Uno Lineablu. Autore di tre libri (sul Moro di Venezia e su Luna Rossa) e della voce «Vela» per l’Enciclopedia Treccani.

Saily.it è nato nel 2010 (dieci anni nel 2020!) come primo media globale dedicato al mondo della vela: magazine, TV, social. In questi anni di grande trasformazione del mondo dell’informazione, da “nativo digitale” si è ritagliato uno spazio di riferimento ed è oggi leader per audience e autorevolezza nella comunicazione velica.

Io resto a casa e vi spiego perché

causa situazione io sto a casa

Il mio pensiero va alle persone malate che soffrono fisicamente. A chi è in ospedale, isolato, pensando ai suoi cari a casa con il dubbio di rivederli. A chi è malato e chiuso in casa da solo, o con la sua famiglia temendo di contagiarla.

Il mio pensiero va alle persone che rischiano per aiutare le persone che soffrono fisicamente. Ai medici impegnati al fronte e a tutti coloro che, lavorando nella sanità, rischiano la propria vita. Al medico di base che torna a casa alle 22 dopo aver visitato 70 pazienti ed ha terrore di abbracciare sua moglie e i suoi figli; a chi lavora in farmacia e incontra 100 pazienti al giorno, terrorizzati dai possibili contagi da virus… Penso agli infermieri, a tutto il personale medico e paramedico che in questo momento è mobilitato per salvare delle vite.

Penso alle persone che rischiano a causa di coloro che non rispettano le regole: penso ai corpi di polizia e all’esercito, che devono controllare le persone che, per un motivo o per un altro, in questo momento non restano a casa.

Il mio pensiero va a tutte le persone che in questo momento non rischiano la vita, ma hanno grandi preoccupazioni che gli impediscono di dormire la notte. Perché si sentono responsabili dei dipendenti che devono lasciare a casa, impossibilitati a svolgere il proprio lavoro, e perché temono che se questa situazione durerà troppo a lungo, non sapranno come pagare gli stipendi. Penso al capo dell’azienda di migliaia di dipendenti piuttosto che a chi ha dovuto chiudere il proprio bar, ristorante, il piccolo negozio o una piccola società.

A tutte le persone costrette a fermare la propria attività pur avendo spese da pagare tutti i mesi. Ma anche a quelle che fanno attività che non hanno spese, ma che sono la loro fonte di sostentamento: chi si occupa degli aiuti domestici e non può più lavorare perché i loro clienti hanno paura di essere infettati. Persone che spesso non hanno grossi risparmi sui quali contare in periodi come questi.

Penso a tutte queste persone, che prima di addormentarsi soffrono, si girano nel letto e non riescono a trovare il sonno perché sono molto preoccupate dalla situazione.

Sicuramente non ho citato molti casi, ma il mio pensiero va a tutti coloro che soffrono, fisicamente, emotivamente o psicologicamente.

Si tratta di una crisi. Siamo in un momento di crisi mondiale, che si riflette nella vita di ognuno. Siamo in una situazione di crisi che non era stata immaginata o prevista, a cui probabilmente ben pochi avevano preventivato una reazione. Io non ho esperienza di questo. Quasi nessuno di noi ce l’ha. Ma sono preoccupato per tutta questa sofferenza e mi chiedo: io cosa posso fare?

Noi, che non siamo medici, non possiamo aiutare in maniera dirette queste persone. Quello che possiamo fare per aiutarle è cercare di limitarsi, di autocensurarsi il più possibile per evitare la propagazione del virus. È per questo che Io resto a casa.

 

 

Causa situazione Giancarlo decide di fermarsi
© MARTINA ORSINI

 

Credo che in questo momento, la cosa più importante sia quella di cercare di mantenere la calma, e prendere coscienza della situazione. È inutile nascondersi, non porta a niente di buono ignorare la situazione. In barca se abbiamo un problema dobbiamo risolverlo subito o le cose precipitano in fretta, o si è capaci di affrontare le cose di petto o si affonda.

In questa situazione non è il momento di puntare il dito sull’altro, bisogna pensare di dare il 100% di noi stessi. È il miglior modo per dare l’esempio agli altri e convincere gli altri a fare la stessa cosa. Dare il 100% di sé e basta.

Dobbiamo fare uno sforzo collettivo e smetterla di parlare male degli altri, il modo migliore per convincere è l’esempio.

Utilizziamo le nostre energie in maniera costruttiva: cerchiamo di essere tutti di aiuto per mantenere le nostre menti positive. Quindi restare uniti, restare forti, ritrovare il piacere delle cose semplici: leggere un libro, raccontarsi delle storie, richiamare degli amici di cui abbiamo perso i contatti per sapere come stanno. Non per chiedere un favore, ma per fare due chiacchiere, per condividere e creare legami più forti. Potremo cercare di fare l’esercizio di trovare tutti i giorni almeno tre punti positivi della giornata per cui è valsa la pena di essere rimasti in casa.

Sicuramente le preoccupazioni sono tante, ma girarsi nel letto sentendosi impotenti non ci aiuterà ad uscire dalla situazione. Viceversa, avere un atteggiamento positivo permette al nostro sistema immunitario di mantenersi alto e efficace. Fa star meglio noi stessi, chi vive con noi, ed è una maniera di aiutare la società: mantenere e trasmettere questa positività alle persone che in certi momenti possono vedere le cose più scure di noi, aiuta tutti.

Gli uccelli continuano a cantare tutte le mattine, il mondo guarirà. Io ci credo.

Forza mondo, forza noi,

Giancarlo.

Verso il Vendee Globe: una sfida su diversi fronti

particolare Prysmian Group

Il Vendee Globe è considerato l’Everest del Mare, e non a caso. Navigare da soli in barca a vela per settimane, richiede molto più di una normale navigazione. Per poterlo fare è necessario imparare a gestire stanchezza, paura, abitudini alimentari, concentrazione e difficoltà che possono sorgere. Soprattutto richiede sapere come affrontare l’incertezza, il non previsto.

L’articolo che segue, è stato pubblicato sul sito PrysmianOceanRacing, il sito del progetto Vendee Globe di Prysmian Group e Electriciens sans frontiéres. Si tratta di una panoramica fatta insieme a Giancarlo sui seguenti argomenti relazionati alla preparazione per il Vendee Globe:

  • rischio
  • solitudine
  • forza mentale
  • concentrazione
  • riposo
  • pericoli
  • sonno
  • spirito di adattamento
  • nutrizione.

Tutti gli atleti d’élite, gli sportivi di alto livello, si preparano con attenzione, fisicamente e mentalmente, alla ricerca del continuo miglioramento delle proprie performance. Coloro che praticano sport estremi devono fare di più, devono considerare che saranno esposti a situazioni imprevedibili e devono essere pronti a qualsiasi eventualità. Gli skipper che partecipano al Vendee Globe, il giro del mondo in solitario, sono costretti a spingersi ancora oltre. Oltre alla resistenza fisica, allo stress mentale e alla possibilità di dover affrontare un numero illimitato di imprevisti. Devono superare una sfida in più, e cioè restare da soli su una barca a vela, in mezzo al mare, per molte settimane. Senza possibilità di scalo in caso di problemi e senza possibilità di ricevere assistenza se non telefonica durante l’intera circumnavigazione.

Abbiamo parlato di questo con Giancarlo, quinto navigatore solitario italiano nella storia della Vendee Globe che tenterà l’impresa a bordo dell’IMOCA Prysmian Group.

Che cosa spinge un atleta ad affrontare una sfida tanto estrema quale il giro del mondo in solitario?

Credo che essere disposto ad affrontare rischi tanto estremi sia il risultato della condotta di tutta una vita. È qualcosa che ti vibra dentro da quando sei bambino e che non puoi fare a meno di seguire. Si tratta di superare i propri limiti, vedere le cose da una prospettiva diversa. Mettere alla prova te stesso in sempre nuovi contesti nel lavoro come nella vita di tutti i giorni. È quasi una necessità che spinge ad affrontare sfide sempre più difficili e impegnative. Nel mio lavoro ho proceduto così, aumentando via via la difficoltà delle prove e abbandonando le situazioni diventate ormai familiari.

Fare il giro del mondo in solitario implica una serie di rischi notevoli. Come affronti questo pensiero?

Come navigatore, non penso ai rischi in maniera emotiva, ma tendo ad analizzarli in modo asettico, come se riguardassero qualcun altro. Per questo riesco ad affrontarli razionalmente e a non farmi bloccare da essi, come altrimenti potrebbe succedere. Ogni giorno corriamo dei rischi, ma non ci facciamo bloccare da essi perché li abbiamo razionalizzati e prendiamo precauzioni adeguate. È un po’ quello che accade quando qualcuno che vuole fare un giro in moto, indossa il casco, utilizza una protezione. Se pensasse in forma emotiva, concentrerebbe le sue energie a immaginare i rischi che corre, quali la possibilità di avere un incidente stradale.

Credo che i rischi che si corrono in questo sport non siano molto diversi da quelli che si possono incontrare nella vita quotidiana. Prendo semplicemente, con attenzione ma tranquillità, tutte le precauzioni necessarie affinché le cose possano andare bene. Lo faccio ogni giorno, per me non cambia che si tratti del Vendee Globe o della sicurezza all’interno della mia casa.

Giancarlo Pedote a prua Prysmian Group
2019 © MARTINA ORSINI

Qualche volta pensi ai pericoli che stai correndo?

Sono consapevole dei pericoli che corro, me cerco di non lasciare che la paura mi invada. Cerco di fare in modo che sia la ragione a guidare i miei pensieri e le mie azioni, come se stessi giocando a scacchi. Se mi lasciassi prendere dalle emozioni e se lasciassi crescere la paura di pericoli, reali o immaginari, non potrei concentrarmi sulla navigazione. Non potrei partire per un Vendee Globe, perché navigare in solitario richiede, come detto, forza mentale e concentrazione.

Navigare in barca a vela da soli, non porta a soffrire di solitudine?

La solitudine in realtà è uno stato mentale che mi aiuta a guardarmi dentro, a entrare in contatto con me stesso. Vivo la solitudine come un’opportunità, non come un limite, perché mi permette di riflettere su tutto ciò che ho raggiunto nella vita. Mi permette di pensare alla mia famiglia e ai miei amici in maniera più profonda, lontano dalla routine, che spesso ci impedisce una riflessione approfondita. Non soffro la solitudine, ma la utilizzo per conoscere meglio me stesso. Credo che questa sia una caratteristica che non appartiene a tutti: coloro ai quali non piace stare soli, devono risolvere questo tema prima di affrontare una navigazione in solitario. Sia che si tratti del Vendee Globe, sia che si tratti di un semplice trasferimento.

Quanto è importante la forza mentale?

La forza mentale è essenziale perché durante la navigazione ci sono sempre degli imprevisti che rompono i nostri schemi. Per questo è così importante sviluppare la capacità di adattarsi a nuove situazioni. Il primo passo per sviluppare la capacità di adattamento, è accettare che esistono degli imprevisti. Un imprevisto è qualcosa che non vorremmo accadesse, qualcosa che infrange la nostra visione di come dovrebbero andare le cose. A volte è qualcosa che non abbiamo previsto, nonostante tutto il nostro impegno per prepararci a qualsiasi evento.

La forza mentale, quella stabilità emotiva che permette alla razionalità di esprimersi, ci permette di avere la giusta reazione difronte agli imprevisti. Senza ansia, senza panico, senza disperazione, fluendo e adattandosi agli avvenimenti come un fiume si adatta alle rocce che trova nel suo cammino. Quando una persona riesce ad adattarsi facilmente alle circostanze, può finalmente godere del momento che sta vivendo. Questo è uno dei miei obiettivi per il Vendee Globe.

Il Vendee Globe, richiede molte settimane di navigazione: come riuscirai a rimanere concentrato?

Sono sempre concentrato, mantenere la concentrazione fa parte del mio quotidiano. Indipendentemente da dove mi trovo, che sia in mare aperto o a terra, sono concentrato, circa quattordici ore al giorno. Certamente è importante anche staccare la spina, rilassarsi fisicamente e mentalmente. Giocare con i bambini, parlare con gli amici, guardare un film. Sono cose che fanno bene per interrompere la concentrazione e rilasciare i pensieri alleggerendo la mente. La concentrazione è l’attitudine naturale che ho nei confronti della vita, un’abitudine che lascio vivere a pieno durante le regate, quando non posso permettermi distrazioni.

Durante una regata, soprattutto in solitario, ci sono momenti di riposo?

Quando il vento cala e la barca avanza lentamente, posso rilassarmi un po’, anche se proprio allora è necessario verificare che tutto sia a posto. Il livello di attenzione può variare da un 100% a un 60%, ma non potrà mai essere zero, altrimenti i rischi sarebbero troppo alti. Durante una competizione quale il Vendee Globe è necessario, anzi fondamentale, concedersi momenti di riposo.

Riesci a dormire sufficientemente durante la navigazione?

No, nessun navigatore solitario riesce a dormire sufficientemente durante la navigazione. Personalmente non riesco a rilassarmi, soprattutto perché è molto difficile rilasciare i muscoli nella posizione in cui è possibile dormire. Anche i ritmi del sonno, ovviamente, hanno la loro influenza sull’esito di riposare bene. Siamo abituati ad un sonno monofasico, composto da una sola fase per cui ci addormentiamo la sera e ci risvegliamo al mattino. La navigazione in solitario, invece, richiede un modello di sonno polifasico, che significa dormire poco il più spesso possibile.

Durante una regata in solitario si possono fare brevi sonnellini di 10, 15 minuti, fino a sonni di due ore, come fanno molti animali. Anche se usiamo il pilota automatico, senza il quale non sarebbe possibile navigare, dobbiamo controllare continuamente l’imbarcazione e il mare. Gli strumenti, purtroppo, non sono sufficienti a scansare tutti i pericoli. Inoltre sonni più lunghi potrebbero impedire di seguire la giusta strategia di regata. Sono ormai anni che durante le competizioni dormo con un sonno polifasico, e ho preso l’abitudine di passare dall’uno all’altro. Certo, quando rientro a terra mi si vuole del tempo per tornare alla normalità, ma fa parte del mio lavoro.

Sonno Giancarlo Pedote
2019 © MARTINA ORSINI

Questo modo di riposare, influisce sulla tua capacità mentale?

Meno dormi, più sei vulnerabile dal punto di vista emotivo e questo si traduce in una razionalità più fragile e meno solida. È importante cercare di riposare bene il più possibile, e saper identificare il momento in cui la mancanza di sonno inizia a influenzare la razionalità. Ascoltare le proprie emozioni, la propria mente e il proprio corpo è fondamentale.

Una barca a vela come l’Imoca è una macchina molto esigente. Come lavora un navigatore solitario per affrontare le difficoltà che può incontrare?

È un lavoro che necessita anni ed anni di preparazione, perché comporta imparare a conoscere le basi di tutto ciò che riguarda la barca. Bisogna essere preparati su elettricità, elettronica, informatica ed energia perché è necessario essere pronti a riparare del carbonio o qualsiasi parte meccanica. Ogni volta che smontiamo e rimontiamo dei pezzi dell’imbarcazione, osservo con attenzione, immaginando come potrei riparare ciascun pezzo in caso di rottura. Nel 2013, ad esempio, il mio Mini 6.50 subì una rottura del bompresso che riuscii a riparare grazie all’esperienza fatta in cantiere utilizzando quei materiali.

Navigo in solitario da oltre 10 anni, ed ho avuto l’opportunità di approfondire argomenti diversi. Ho trascorso molto tempo in cantiere e ho imparato molto dai professionisti che nel tempo mi hanno seguito e aiutato. Adesso posso dire di aver acquisito un certo grado di conoscenza che mi dà la possibilità di poter risolvere una serie di possibili problemi. Se sei in mezzo all’oceano, in regata, e non sai come riparare qualcosa che si è rotto, la tua corsa è finita. Durante il Vendee Globe avrò il team a terra pronto a darmi consigli via satellitare, ma sarò io a dover aggiustare ogni eventuale rottura.

Che tipo di attività fisica puoi fare durante la navigazione?

Lo spazio vivibile sull’imbarcazione è veramente ridotto e non c’è possibilità di fare grandi movimenti, a meno di non andare a prua a mare calmo. All’interno dell’imbarcazione c’è uno spazio nel quale posso distendermi, stare in piedi o seduto, ma è scomodo. E in nessuno di questi luoghi si arriva a poter fare della vera ginnastica. In realtà l’unico tipo di attività fisica che si può fare è un po’ di stretching. Che fa bene, visti i movimenti ripetitivi e faticosi che ogni manovra richiede.

Quanta energia richiede la navigazione?

Molta energia, fino a 4000 calorie al giorno nel Grande Sud, dove oltre a sostenere gli sforzi è necessario contrastare il freddo. E’ necessario alimentarsi bene e correttamente, per avere l’energia necessaria ad affrontare la navigazione.

Gli spazi sicuri dell’IMOCA sono molto limitati. Cosa mangi e come lo cucini?

Mangio piatti a base di cibo disidratato e cibo sottovuoto. La conservazione degli alimenti è il problema più grande, visto che non abbiamo frigoriferi e la barca arriva ad avere alte temperature. Durante l’anno, in fase di preparazione, studio con attenzione quali alimenti portare con me una volta salpato. Li provo simulando condizioni simili a quelle che si hanno sulla barca, con pochi strumenti, pochi mezzi e poco tempo. Olio extravergine di oliva e cibi il più possibile naturali già pronti o da utilizzare per creare qualcosa di estemporaneo. Cerco di mantenere in navigazione un’alimentazione simile a quella alla quale sono abituato, giocando con la fantasia e cercando di variare il più possibile.

Quando sono in navigazione per cucinare posso utilizzare l’acqua del mare, che depuro grazie al dissalatore con il quale elimino anche il sale. Con questa acqua scaldata posso reidratare i liofilizzati o cuocere alimenti a cottura rapida. Cerco anche di portare cibo preparato e messo sottovuoto, anche se ha lo svantaggio di pesare di più. In navigazione il peso che trasportiamo conta, ma nel Vendee Globe dovrò utilizzare cibo sottovuoto, per variare e prendermi cura di me stesso.

IMOCA Prysmian Group zona cucina
2019 © MARTINA ORSINI

Approfondimenti

Il sito ufficiale del Vendee Globe

Qualcosa in più sul progetto Vendee Globe di Giancarlo Pedote, Prysmian Group e Electriciens sans frontiéres