Vendée Globe 2020: il diario

Partenza: “In viaggio con il metodo di Cartesio”

«Da Cartesio ho appreso il metodo, tornerò diverso. Parto alla scoperta di me, tornerò trasformato. Mi lascerò sorprendere da una rotta affascinante, non ho mai doppiato un capo né solcato il Pacifico. La paura più forte è la grande botta, magari contro una balena o un oggetto galleggiante.

L’obiettivo? Tornare. Lo sponsor crede in me da tredici anni, mi sono trasferito in Francia per navigare e il progetto Vendée parte due stagioni fa. L’esplorazione era nella mia indole di bambino, mi sento preparato. Alla barca mi rivolgo con il pensiero ma soprattutto la ascolto quando mi parla».

 


 

VENDÉE GLOBE, PRIMA SETTIMANA: “Nel mare nervoso ripenso a Terzani che mi ha indicato la strada. È ancora notte e non riesco a percepire il limite fra cielo e mare, alcune scelte prese nel silenzio del cuore hanno il potere di cambiarti la vita. Come quella che feci nel 1994.”

 

Mercoledì, 11 Novembre 2020, ore 04.50 UTC
Posizione di Prysmian Group: 43°23.00’N 15°47.18’W
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud, Sud West, 30 nodi (55,6 km/h) con punte fino a 40 nodi, altezza onda 3 mt con frequenza ogni 5 secondi. Temperatura aria: 16°. Temperatura acqua: 17°

Luogo abitato più vicino a terra: Santiago di Compostela, Spagna, 595,61 Km
Menu di ieri: 

  • Biscotti senza zucchero, che a casa chiamiamo “palmeritas”
  • Pasta con sugo alla norma, condita con l’olio regalato dal nonno e del parmigiano grattato portato dall’Italia da mia mamma
  • Prosciutto del casentino con il pane di Brest regalato da François
  • 1 mela golden
  • Reillet di tonno sul pan carrè scaldato in padella
  • 1 liofilizzato uova strapazzate e formaggio
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Siamo ancora nel secondo giorno di navigazione. Il Vendée Globe sulla cartografia è iniziato domenica alle 14:20, con 1 ora e 18 minuti di ritardo causati dalla nebbia. Nebbia che ho incontrato di nuovo, ma che adesso non c’è più. È ancora notte, non riesco a percepire il limite tra il cielo e l’oceano.

A volte vedo la luna che si affaccia dietro le nuvole. Brilla comunque, nel buio lontano dalle luci terrestri. Allargarsi ad Ovest significava prendere più vento e più onda, lo sapevo. Il mare qui è nervoso, lo attraversiamo e non è contento. Si vendica attraversando lui stesso la barca, salendo a bordo. A volte sembra voglia prendere il mio posto. Fra non molto riceverò i file meteo. Dovrò mettermi a studiare la situazione, prendendo la conseguenza delle scelte fatte in questi due giorni di navigazione.

In mare si sceglie in continuazione, soprattutto all’inizio di una regata. La rotta da seguire, le vele, l’abbigliamento, i primi pasti… La configurazione della barca al momento della partenza si sceglie qualche giorno prima, mentre la rotta si sceglie la mattina della partenza. Si sceglie dove andare, quale vento cercare, da quale vento farsi spingere… Una scelta che sembra piccola nel confronto di un giro del mondo, ma che potrebbe influenzare l’intero andamento della regata.

La scelta

Alcune scelte, apparentemente ininfluenti, prese in silenzio dentro il cuore, hanno in realtà il potere di cambiare il resto della tua vita. In qualche modo l’ho sempre sentito… dentro me stesso c’è sempre stata questa convinzione.

Mi trovo a Tunisi e sto aspettando un amico all’aeroporto per iniziare un viaggio assieme. In realtà lui non partirà mai per un grave imprevisto. Sono solo, ho diciotto anni. Non ho mai viaggiato all’estero, non conosco le lingue e nella mia famiglia nessuno ha un vissuto fuori dall’Europa. Sono all’aeroporto. È il 1994. Internet e cellulare non sono ancora diffusi. Quando agli arrivi non vedo sbucare il mio compagno di viaggio, che doveva essere la mia guida, mi impensierisco.

Ho due strade, una in discesa: tornare a casa fuggendo dallo sconosciuto. Una in salita: proseguire sprofondando nello sconosciuto. In quel momento l’intuizione mi sussurra che questa scelta si ripercuoterà per tutta la mia vita. Tiro un sospiro e scelgo la salita.

Vent’anni dopo trovo un bellissimo video di un signore barbuto che dice: «…E dinanzi a un bivio di una strada che va in basso e una che va in alto, prendi sempre quella che va in alto, ti troverai sempre meglio*».

Oggi penso che quella scelta mi abbia regalato un cammino di sorprese e di scoperta. Oggi sprofondo nello sconosciuto. L’uomo tende a scegliere con la ragione, e così facendo nelle scelte difficili trova spesso una parità nella bilancia che lo mette in conflitto, perché non sa più dove andare, non sa più come agire. È in queste situazioni di stallo che, a mio avviso, deve intervenire l’intuizione, quella capacità di sentire dentro noi stessi una profonda convinzione su quale sia la direzione da seguire. Credo che questa profonda convinzione vada coltivata attraverso un attento ascolto di noi stessi, cosa che è possibile fare qui, dall’immenso blu. Adesso invio questa mail, e torno a studiare i file meteo… un’altra scelta mi aspetta.

(*ndr : L’uomo barbuto è Tiziano Terzani)

 


 

VENDÉE GLOBE, SECONDA SETTIMANA: “La paura mi accompagna nel cuore dell’oceano. La prima settimana di navigazione è stata dura. Abbiamo incontrato Thêta, un bel nome per una depressione tropicale che nella sua parte più robusta ha raggiunto anche 60 nodi di vento, che sarebbero oltre 111 Km/h.”

 

Mercoledì, 18 Novembre 2020, ore 09.00 UTC
Posizione di Prysmian Group: 10° 16’ 32’’ N 029° 49’ 43’’W
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord Est, 14 nodi ( 25,9 Km/h) con raffiche a 20 nodi, altezza onda 1,9 mt con frequenza ogni 12 secondi, temperatura aria 27°, temperatura acqua 27°
Luogo abitato più vicino a terra: Sao Filipe, Capo Verde, 742,5 Km

Menu del giorno: 

  • Uova «occhio di bue» con prosciutto del Casentino e formaggini come quelli che mangiano i bambini, accompagnato da pane in cassetta riscaldato in padella
  • Cous-cous con paté di zucchine, filetti di acciughe, l’olio regalato da mio nonno Arsiero
  • Una mela golden, 1 pompelmo
  • Friselle pugliesi con pomodori secchi e peperoncino, e l’olio regalato da mio nonno Arsiero
  • Un panino al muesli
  • Pollo al curry con patate *
  • Sali minerali e vitamine *
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

La prima settimana di navigazione è stata dura. Abbiamo incontrato Thêta, un bel nome per una depressione tropicale che nella sua parte più robusta ha raggiunto anche 60 nodi di vento, che sarebbero oltre 111 Km/h. Nella pancia di una barca a vela in carbonio, che fa da cassa di risonanza, può fare paura. La stanchezza può contribuire a sentire maggiormente la paura.

La prima settimana di navigazione sono arrivato ad alti livelli di stanchezza: la mancanza di sonno, spostare i sacchi per «matossare», cioè spostare tutto il peso possibile all’interno della barca in base all’andatura) significa spostare 200kg di peso ad ogni virata, il rumore delle onde che si infrangono ritmicamente nel pozzetto, il movimento violento della barca, la necessità di reggersi in continuazione, il freddo e l’umidità della pioggia e del mare che senza tregua spazza la coperta e la pulisce da qualsiasi granello di polvere. Ho sentito la paura stringermi la mano, ma la riconosco, siamo amici ormai. La sua compagnia non mi disturba, mi rassicura. Mi ricorda il limite.

La paura in mare

Per molti di noi la paura è sinonimo di debolezza, insicurezza e mancanza di coraggio. Spesso la paura si attacca dove c’è rischio o semplicemente ignoto. Per arrivare fino a qui ho dovuto accettare di convivere con la paura. Ho dovuto ammettere di essere pieno di paure. Prima di partire per il Vendée Globe la paura era di non riuscire a montare quest’impresa, di essere un padre agli occhi dei miei figli che non è riuscito ad andare a fondo a quel desiderio di fare il giro del mondo. Di ritrovarmi a metà, sospeso come un babà.

Oggi la mia paura è non terminare il giro, oppure banalmente non tornare a casa dalla mia famiglia a causa di un incidente. La paura è salita a bordo di questa barca con me, non appena ho mollato le cime da Le Sables d’Olonne. Le paure sono tante e di varia natura. Perdere la vita, perdere la barca, perdere la fiducia dei miei sponsor e quindi perdere il lavoro. Perdere comfort, perdere certezze. E Thêta la scorsa settimana ci ha messo del suo, mi ha chiamato per nome e mi ha parlato tra le onde del mare ricordandomi queste paure. Quasi mi conoscesse.

 

Photo © Jean-Marie LIOT / Prysmian Group

 


 

VENDÉE GLOBE, TERZA SETTIMANA: “Con la calma piatta, ho guardato dentro di me. Ho incontrato quasi tutti i sistemi meteorologici: fronti freddi, anticicloni, groppi, calme senza vento… Proprio durante una di queste calme, che ho dovuto subire ieri, ho avuto l’occasione di riflettere su quello che sto facendo.”

 

Posizione di Prysmian Group: 26°14’19”S 27°53’01”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud Sud Est, 8 nodi ( 14,8 Km/h) raffiche di 11, nuvoloso con pioggia, altezza onda 1,5 mt con periodo moto ogni 11,3 secondi. Temperatura aria: 21°. Temperatura acqua: 22°
Luogo abitato più vicino a terra: Rio de Janeiro, Brasile, 1600,36 Km

Menu del giorno:

  • Pomodori secchi rinvenuti, parmigiano grattato, uova e taralli Tiberino all’olio d’oliva.
  • Riso basmati con sugo di melanzane e olio del nonno Arsiero
  • 1 pompelmo, 1 succo di frutta multivitamine
  • Friselle pugliesi con pomodori secchi e peperoncino, e l’olio del nonno Arsiero
  • Biscotti “Ventaglini”, che mi ha portato mia mamma da Firenze
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

La situazione attuale

Sono passate oltre due settimane dalla partenza per questo giro del mondo in solitario, l’8 novembre scorso. Due settimane tra cielo e mare, quello dell’Oceano Atlantico. In queste due settimane ho percorso 9.914 km, me ne restano 36.749 teorici. Ho incontrato quasi tutti i sistemi meteorologici: fronti freddi, anticicloni, groppi, calme senza vento… Proprio durante una di queste calme, che ho dovuto subire ieri, ho avuto l’occasione di riflettere su quello che sto facendo… un viaggio da solo.

Viaggiare da solo

Io sono sempre stato un viaggiatore. Il viaggio mi ha sempre affascinato. Mi ricordo una volta, da piccolo, andai a casa di mio zio Piero. Era tornato da un viaggio in Nepal – Sri Lanca – Maldive e aveva fatto tante diapositive. Io avevo credo 8 anni e rimasi affascinato a guardare tutte le foto che aveva fatto, proiettate sul muro di casa sua.

Quella fu la prima volta che mi resi conto che esistevano veramente delle civiltà diverse, delle culture diverse. Colori, sapori, profumi… un mondo diverso da quello che io vivevo. Ed è li che, a 8 anni, decisi che io da grande avrei fatto il viaggiatore. Ho 18 anni, sono diventato da poco maggiorenne. Sono in viaggio in Tunisia, da solo per delle circostanze inaspettate. Sono su un autobus, sto guardando fuori dal finestrino e mi rendo conto che, in realtà, viaggiare da solo significa fare tre viaggi.

I tre viaggi

Il primo è un viaggio nell’esterno – un viaggio di scoperta, di conoscenza ed esplorazione di un mondo nuovo. È il viaggio più comune, che lascia ricordi, ispirazioni, racconti…

C’è però un secondo viaggio, quello che intraprende solo il viaggiatore solitario, per il quale l’unico modo per comunicare con gli altri è aprirsi al prossimo e conoscerlo: quando viaggi da solo in un paese con una cultura diversa, devi imparare a capire chi ti vuole essere amico e chi, invece ti vuole rubare. Questo è un viaggio che permette di crescere, di lavorare sulla propria relazione con il mondo. A me il viaggiare da solo ha permesso di sviluppare una grande sensibilità nei confronti dell’altro.

E poi c’è il terzo viaggio, quello che fai dentro te stesso. È il guardare dentro te stesso mentre ti sposti in pullman da una città all’altra e guardi dal finestrino, guardi il paesaggio, poi il tuo riflesso sul vetro, poi dentro te stesso. Guardi il tuo futuro, il tuo presente, il tuo passato. Ripensi alla tua vita ripensi alle cose giuste che hai fatto, a quelle sbagliate, ripensi a ciò di cui ti vorresti scusare, a ciò che avresti voluto dire e non hai detto o che avresti voluto fare e non hai fatto.

Viaggiare da solo a 18 anni

Ho 18 anni e ho terminato il mio primo viaggio in solitario. Sono diventato viaggiatore professionista. Quando parto lascio il cellulare a casa: mi rifiuto di partire con il cellulare perché non voglio comunicare. Mi voglio concentrare sulle me stesso. Scrivo soltanto mail per dare notizie a casa e chiamo una volta alla settimana, per far sentire la mia voce.

La mia vita si struttura su tre fasi: 6 mesi all’anno studio instancabilmente per dare tutti gli esami all’università; tre mesi lavoro; gli altri tre mesi viaggio per conoscere il mondo, gli altri e me stesso. E i viaggi si sono susseguiti ritmicamente: – 2 mesi in India, – 3 mesi da Los Angeles a Panama passando per Messico, Guatemala Honduras Nicaragua Costa Rica, senza mai prendere un taxi ma solo mezzi pubblici – 1 mese e mezzo in America del Sud (Perù, Ecuador, Bolivia) e lì incontro delle persone che avevo conosciuto nel viaggio precedente e che stavano girando il mondo. Poi 3 settimane in Nepal – 2 mesi in Camerun – 2 settimane in Marocco – altri 2 mesi in India per scrivere la tesi di laurea…

Nel primo viaggio in Messico prendo una malattia fortissima, una forma di dissenteria gravissima con una febbre molto alta. Mi ritrovo in casa di una « curandera » che si prende cura di me con riso e mele per due settimane. Grazie Donna Rosita.

Nella Selva Lacandona, in Chapas, vivo due settimane con gli aborigeni in una casa di legno. Prendo l’acqua al fiume e la faccio bollire per poterla bere.

Nel secondo viaggio in India faccio amicizia con tante persone dell’America Latina e il Messico diventa quasi una meta fissa: di viaggi lì ne farò quasi 10, ma non per esplorare o conoscere gli altri: per ritrovare gli amici e, sempre, incontrare me stesso. Alla fine di ognuna di queste esperienze, mi sono sempre reso conto che mi veniva fatto un regalo: l’ascolto sopraffino di me stesso.

Viaggiare da solo per un paese sconosciuto, chiudendo con la routine a cui ero abituato, mi ha permesso di entrare in una dimensione nella quale potevo finalmente ascoltare me stesso, nella quale potevo finalmente chiedermi: quali sono i miei sogni ? Quali i miei desideri ? Quali le mie paure, quali le mie angosce ? Una grandissima occasione di introspezione.

Viaggiare da solo adesso

Un altro viaggio in solitaria

È passato molto tempo. Sto guardando le stelle dell’Emisfero Sud, al largo delle coste del Brasile. Sto facendo un viaggio da solo. Un viaggio che se tutto va bene durerà quasi 3 mesi. Non prendo mezzi pubblici, solo una barca, l’IMOCA Prysmian Group, la “mia barchetta”. Non ho lasciato il cellulare a casa. Anzi, ne ho portati quattro, ma parlo pochissimo via satellitare con il mondo esterno e intorno a me c’è tutto mare e cielo… E ci sono io.

Mi si ripresenta con una consapevolezza diversa la possibilità intensa di guardarmi dentro. È un’occasione che voglio sfruttare per interrogarmi sul rapporto con i miei figli, sulla mia vita futura, su cosa conta veramente per me, quali sono gli obiettivi importanti… Ma sono partito in maniera completamente diversa. Sono sposato, ho due bambini che mi aspettano che hanno bisogno di sentire il loro papà. Forse non ho neanche più questa necessità di tagliarmi completamente fuori dal mondo. Sono parte di esso.

 


 

VENDÉE GLOBE, QUARTA SETTIMANA: “Così il mare ci insegna a gestire gli imprevisti”

 

Mercoledì, 2 Dicembre 2020, ore 07.00 UTC 
Posizione di Prysmian Group:
 41°20’13”S 16°06’28″E
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest, 24 nodi ( 44 Km/h) raffiche di 33. Cielo sgombro, altezza onda 3,6 mt con periodo moto ogni 8,5 secondi. Temperatura aria: 13°. Temperatura acqua: 15°
Luogo abitato più vicino a terra: Suiderstrand, una località costiera sudafricana situata nella municipalità distrettuale di Overberg nella provincia del Capo Occidentale, distante 794,37 Km

Menu del giorno:

  • Uova con prosciutto del Casentino
  • Pasta con bottarga e olio del nonno Arsiero
  • Risotto carnaroli melanzane e piselli, gentilmente offerto da Tiberino
  • Biscotti di riso soffiato e cioccolato
  • Due «fruttini», come chiamiamo a casa le composte di frutta
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Non sono io che ho scelto il mare. È il mare che ha scelto me. E il mare può essere affascinante, accogliente, liberatorio, ma anche ostile, chiuso, pauroso.
E sempre imprevedibile. 
Sono passate oltre tre settimane dalla partenza da Les Sables d’Olonne, in Francia, l’8 novembre scorso, direzione il mondo.
Tre settimane nelle quali sono successi vari incidenti alla flotta che partecipa a questo Vendée Globe. Fabrice Amedeo e Jeremy Beyou sono rientrati a Les Sables per riparare, riuscendo per fortuna a ripartire; Kojiro Shiraishi ha dovuto riparare una vela, Isabelle Joske i candlieri, Thomas Rouyant è dovuto salire in testa d’albero, cosi come Sébastien Destremau. Alain Roura ha avuto problemi di chiglia. Nicolas Troussel ha disalberato,e ha dovuto ovviamente abbandonare. Alex Thompson ha rotto il timone, e ha dovuto abbandonare.

E lunedì notte Kevin Escoffier ha perso la barca, spezzata in due, è affondata in pochissimo tempo. È stato salvato da Jean Le Cam. E poi ha sorriso, per sé stesso. E poi ha pianto, per la barca. Conosciamo tutti le statistiche del Vendée Globe. Parlano chiaro: 138 skipper sono partiti, solo 71 sono arrivati. L’imprevisto è sempre in agguato. A volte è superabile, a volte no.

L’imprevisto

L’imprevisto è per sua natura qualcosa che non si può prevedere, qualcosa che il mare ti può infliggere all’improvviso, una sanzione a volte piuttosto importante. L’imprevisto può essere una parte meccanica che non è stata revisionata bene o non è stata fabbricata bene e che cede, o semplicemente un incidente: farsi male per una scivolata in barca ma anche una collisione con un oggetto non identificato. Un container semi sommerso, affiorante, in un secondo può cambiare tutto, può fermare tutto.

Magari sei al telefono con i bambini, stai scherzando, sei entusiasta della tua regata, ben posizionato, ed a un certo punto, in un secondo, in un secondo il tuo sogno si infrange… In un secondo chiudi il telefono con la telefonata bellissima con i tuoi figli e ti prepari a evacuare la barca perché stai prendendo acqua da tutte le parti.

In mare tutto è amplificato

L’imprevisto in mare è sicuramente amplificato, più forte dell’imprevisto a terra. A terra viviamo in un livello di comfort tutto sommato importante, abbiamo i mezzi per poter chiedere e ottenere aiuto relativamente in tempo. Se abbiamo un problema in macchina ci spostiamo sulla destra, mettiamo le quattro frecce, prendiamo il nostro cellulare e chiamiamo un carroattrezzi. La notte siamo a casa sotto le coperte, lontani dal pericolo.

In mare non è così. Non ci si può mettere sulla destra, non ci sono le quattro frecce e a volte la persona più vicina che ti può venire a cercare è molto, molto lontana. È per questo che cerchiamo di avere una grandissima cura nello studiare il maggior numero di imprevisti e per questo partiamo con tantissimi pezzi di ricambio. Per cercare di fare fronte a ogni evenienza.

Il 101esimo caso

La cosa incredibile è che alla fine passiamo la vita a prepararci agli imprevisti e se ne studiamo 100 casi, alla fine il caso che si presenta è il 101esimo, quello al quale non avevi pensato. Ma è così, questa è la vita. Vita che ha sempre più fantasia di noi e che spesso pone in una situazione più complessa di quella che uno si aspetta.

A scuola di imprevisti, a scuola di vita

Sicuramente la barca è una grandissima scuola di imprevisti. Venire qua nel Grande Sud, un luogo sperduto e affascinante, potente e intimorente, fare una regata di questo tipo ti obbliga a imparare a convivere con gli imprevisti. Non è possibile prepararsi a tutti gli imprevisti, quello che si può fare è cercare di coltivare una grande elasticità mentale che permetta all’inventiva di attuare e alla voglia di continuare di essere sempre presente.

Al fine di continuare la propria regata e perseguire il proprio obiettivo. È necessario anche sviluppare una grande resistenza mentale. Quando vieni a sapere ce uno skipper che conosci, situato a qualche centinaio di miglia da te, è in pericolo, necessita aiuto che vorresti dargli ma sei lontano, quando sai che potrebbe succedere a te, proprio tra un secondo, hai bisogno di un mentale forte.

Per restare focalizzato sul bianco, e non sul nero. Per alimentare la luce, e non l’ombra. Essendo consapevole e attuando in maniera il più possibile priva di emozioni. Per questo motivo considero il navigare come una grande scuola di vita, nella quale una delle materie fondamentali è la gestione degli imprevisti.

 


 

VENDÉE GLOBE, QUINTA SETTIMANA:”Sento la voce della stanchezza, che mi dice… Arrenditi a me. Ora però siamo in una fase nella quale è necessario navigare da buon marinaio cercando di evitare il maggior numero di sollecitazioni possibili all’imbarcazione”

 

Posizione di Prysmian Group: 38°36’87’’S 68°46’66”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Sud Ovest, 25 nodi (46,3 Km/h) raffiche di 35, qualche rovescio, altezza onda 4,5 mt con periodo moto ogni 8,5 secondi. Temperatura aria 11°. Temperatura acqua 13°.
Luogo abitato più vicino a terra: L’Isola della Desolazione, nell’arcipelago di Kuergelen. Mi dicono che nell’Isola c’è un golfo che si chiama come quello dove vivo adesso: il Golfo di Morbihan. Buffo. Disto 1.243,45 km da questo golfo e 11.896,08 km da quello che conosco bene. In linea d’aria.

Menu del giorno:

  • Cioccolato biologico di modica
  • Pasta con pomodoro e funghi porcini
  • Pollo tikka con riso
  • Frutta secca mista
  • Succo di frutta al pompelmo
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
Oceano Indiano

Questo è il mio Vendée Globe, il nostro Vendée Globe, perché un’esperienza di questo genere, se non è condivisa, perde di valore. Per questo sono grato di poter raccontare ciò che vedo, ciò che percepisco, ciò che sento, fino ai miei pensieri più profondi attraverso le immagini, i video, la scrittura… Questa è una competizione. Una delle più dure e complesse per l’eterogeneità degli elementi che la influenzano.

Il giro del mondo in solitario senza assistenza e senza scalo. Ed è proprio per questa sua complessità e durezza che prende una dimensione diversa, diventando da competizione in solitario a esperienza collettiva. Una regata in solitario che va vissuta tutti insieme.

Stiamo lottando per il nono posto. Stiamo, io e la mia barca, io e il mio team, io la mia barca il mio team e tutti coloro che vogliono salire a bordo con noi, anche solo per dare un’occhiata. Siamo in una fase nella quale è necessario navigare da buon marinaio cercando di evitare il maggior numero di sollecitazioni possibili all’imbarcazione: mi voglio prendere cura di lei. Deve durarmi. Deve durarmi un giro del mondo. Voglio arrivare, il più velocemente possibile. E dei due obiettivi il primo e più importante è proprio il primo.

Sono da giorni e giorni nell’Oceano Indiano. Dentro l’Oceano Indiano direi, perché questo è un oceano che con le sue onde ti avvolge, ti spinge, ti prende a schiaffi. L’Oceano Indiano è possente. Con i suoi 5 metri d’onda gioca a sfinirti. Ti costringe a stare rinchiuso, ti regala pochi raggi di sole. E ti parla in continuazione. Ti urla, direi. I suoi cambiamenti di umore costringono a tante regolazioni che sfiniscono, in queste condizioni, in una barca come questa. Eppure è maestoso. Se dovessi fare un paragone, lo paragonerei al David di Michelangelo: muscoloso, deciso, con lo sguardo fermo.

Lo guardo, resisto, chiuso in questi due metri quadri scuri, dove c’è tutto. Il letto/branda che si alza e si abbassa e si può spostare da un lato all’altro a seconda dell’inclinazione della barca. Il tavolo da carteggio, qui una piattaforma digitale dotata di computer, che può ruotare a seconda del lato nel quale la voglio utilizzare. Il quadro di controllo, dove ci sono tutti gli strumenti, quadro che ammiro quasi fosse un’opera d’arte degli Uffizi tanta attenzione devo dare a tutti i led che lo compongono. La cucina, che è un fornellino che slitta dietro un ripiano nascondendosi quando non necessario…

La stanchezza

La voce della stanchezza

Tutto è qui. Io sono qui. La stanchezza mi trova qui. Eccoti, ti vedo stanchezza ancor una volta sei tu che mi vieni a trovare, che mi vuoi rapire, prima che sia io che volontariamente voglia costituirmi a te. I segnali della tua presenza li riconosco.

Primo di tutti ami annebbiarmi la vista. Gli occhi iniziano a sbattere più del dovuto, i pensieri si appannano ed iniziano ad essere poco pertinenti al presente. Inizi a sussurrare la tua ninna nanna nelle mie orecchie: la tua voce è fioca quasi impercettibile, ma la sento anche in mezzo alle urla dell’Oceano Indiano. Non devo concentrarmi per seguirti nel tuo flusso ammaliante… La mia concentrazione è sbiadita.

Da un lato voglio continuare a tenere duro su tutte le cose che devo fare, dall’altro ho voglia di arrendermi, di ascoltare quella voce di ovatta che è bravissima a convincerti che tutto ciò che devi fare lo puoi rimandare, perché lei vuole stringerti adesso, non può aspettare. Vuole averti tutto per sé. «Ti concedo solo pochi attimi, ma poi dovrai arrenderti a me, uomo, o la mia voce diventerà ferma e potente fino a farti inginocchiare».

Vieni a prendermi, sono qua, mi arrendo a te soddisfatto del mio lavoro, abbracciami ed offrimi un sonno ristoratore, ci ritroveremo spesso in questo viaggio… Non è una nemica. La stanchezza è qualcosa con cui si può discutere, contrattare, ma contro la quale non si lotta, se non quando veramente necessario. La sua voce ti parla di limiti che stai superando e se non l’ascolti, ti rapisce ed è peggio. I suoi rapimenti sono la causa di molti incidenti…

 


 

VENDÉE GLOBE, SESTA SETTIMANA: “Ago e filo in mezzo all’Oceano Indiano e poi ho pianto. Non potevo più avvolgere la vela, il vento stava aumentando. Dovevo effettuare una riparazione d’emergenza che, per fortuna è riuscita.”

 

Mercoledì, 16 Dicembre 2020, ore 07.00 UTC
Posizione di Prysmian Group: 48°14’51’’S 122°36’46”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord/Ovest, 17 nodi (31,5 Km/h) raffiche di 21, cielo parzialmente coperto, altezza onda 2 mt con periodo moto ogni 9 secondi, Temperatura aria 9°. Temperatura acqua 8°.
Luogo abitato più vicino a terra: Albany, Australia, 1.563,95 km, in linea d’aria.

Menu del giorno:

  • Apple and cinnamon breackfast
  • Pasta con fagioli
  • Tarallini all’olio Tiberino e Prosciutto Patanegra, in onore del mio amico Quique
  • Frutta secca mista
  • Succo di frutta all’arancia
  • Sali minerali e vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
Mare grosso

Sono ancora nel sud dell’Oceano Indiano. Un Oceano possente, così maestoso che non si rende conto se ci siamo no, se navighiamo con le nostre barchette, così grandi per noi, così un nulla per lui. Lui è poderoso, e questo lo rende insensibile. Sul piatto della bilancia non pone emozioni. Il suo piatto è leggero, e sale in alto.

Da lì ci osserva. Noi siamo piccoli, e questo ci rende sensibili. Posti sull’altro piatto della bilancia, scendiamo in basso, e ci immergiamo in un turbinio di emozioni. Dopo Capo di Buona Speranza, navigavo in un flusso da Sud-Ovest di circa 30 nodi, con 4 metri di onda e non volevo farmi staccare dalla flotta.

Avevo deciso di mantenere il Code 0, volevo sfruttare tutto il vento disponibile. Ma il vento ha continuato i suoi capricci e ha iniziato ad aumentare le sue raffiche fino a oltre 30 nodi. Era il momento di riavvolgere la vela, una manovra che avevo fatto più volte, per la quale mi sentivo abbastanza sereno.

L’imprevisto

Ma qualcosa di inatteso è successo. La manovra si compie tirando una cima, chiamata “furling line”, con un winch posto nel pozzetto. Il movimento di questa cima, grazie ad una piastra posta ai piedi della vela, genera la rotazione e quindi la chiusura della vela. Sempre immerso nel rumoroso silenzio di questo Oceano, le cui urla ho imparato a isolare, concentrato sulla voce della barca, che mi parla attraverso tanti rumori, mi sono per fortuna accorto subito che qualcosa non andava, e non ho continuato a tirare sul winch.

Sono andato subito a prua, e ho visto le due estremità della furling line sbattere al vento. La vela sbatteva al vento. La furling line si era rotta in due. Non potevo più avvolgere la vela, il vento stava aumentando, e io mi trovavo con questa vela che sbatteva destra e a sinistra, indomita, senza poterla chiudere.

Una situazione molto pericolosa, quando si naviga su questo tipo di barche, barche di oltre 18 metri di lunghezza e quasi 6 di larghezza, barche che pesano 8 tonnellate di stazza. Dovevo agire in fretta perché più tempo fosse restata in quelle condizioni, più possibilità avevo che si spaccasse in mille brandelli con un grosso rischio di rovinare la barca, causando forse l’abbandono della regata. L’unica cosa da fare in quel momento era a mettermi a prua e cucire le due estremità della cima. Un’operazione non così semplice, né breve.

Ago e filo

La soluzione

Presa la decisione, sono rientrato all’interno della barca, ho preso ago e filo, sono andato a prua, mi sono legato e ho cominciato a cucire. I frangenti in quel momento erano importanti, l’acqua spazzava completamente il ponte e nonostante il colletto di neoprene, sentivo le gocce che passavano dal collo scendevano lungo il petto fino all’ombelico.

Le onde arrivavano da tutte le parti, mi prendevano di schiena e entravano sottili lungo il pantalone, lungo il polpaccio, dentro gli stivali. Nonostante fossi protetto, l’acqua entrava dappertutto. Avevo le mani gelate, ma la concentrazione era tutta su quell’ago, su quel filo, su quella cima. Il tempo era come sospeso. Non dovevo fare in fretta: dovevo fare bene. Una volta terminata la cucitura, ho ricontrollato la cima e mi sono reso conto che la cima si era allungata, e non era più così facile rollare.

Con molta, molta delicatezza, al primo tentativo riesco a chiudere la vela in un modo non perfetto, ma soddisfacente. A quel punto mollo subito la mura, tolgo l’hook, sblocco la lock in testa d’albero e riesco a mettere la vela sul ponte. Dopo aver rimpacchettato la vela, ho sfilato la furling line passando un messaggero: dovevo ripassare tutta la calza che avevo perso all’interno dell’anima utilizzando un gerlo per stringere la cima da un capo all’altro, grazie a un nodo che si chiama “prusik”, un nodo da alpinista.

Dopo aver rimpacchettato la vela, sfilato la furling line, dopo aver rilanciato la barca sul nuovo assetto vele, rientrato in barca pronto a lanciarmi in circa 15 ore di lavoro, stanco e infreddolito, mi sono reso conto che ce l’avevo fatta, che ero riuscito a scampare il pericolo.

Lacrime, il valore del pianto

Mi sono reso conto di quello che avevo passato, sentito, pensato. Avevo pensato ai miei bambini e mi ero detto: «che ci fa il loro papà qui, non è un posto da papà questo». Lì, in quella che adesso è la mia casa di 2 metri quadrati, in quel momento, mi sono messo a piangere.

Mi sono messo a piangere liberando tutta la tensione, tutto lo stress e tutta l’adrenalina che mi avevano completamente invaso anima e corpo. Il pianto è un’azione, una reazione che rivela forti sentimenti e emozioni. Il pianto è un gesto nobile, sincero, puro. Eppure la società ci ha insegnato che bisogna vergognarci di piangere, soprattutto in presenza degli altri, soprattutto se siamo adulti, soprattutto se siamo degli uomini.

Il vero pianto è così nobile, liberatore, onesto. È la prima cosa che facciamo quando veniamo al mondo.

Sono un bambino, ho 4 anni. Non ho immagini, ma ricordo una sensazione. Ricordo di aver pianto tantissimo. Non so perché. Probabilmente volevo qualcosa o volevo fare qualcosa. Oppure non volevo fare qualcosa. A un certo punto, per farmi calmare, mia mamma mi dà un bicchiere d’acqua. Quel bicchiere d’acqua ha il potere di calmarmi: unendosi alle mie lacrime, crea una miscellanea incredibile che ristora il mio spirito e lava via lo stress. Rassicura.

Sono un uomo di 37 anni. Ho un turbinio di immagini, sensazioni, odori, rumori. Sono in sala parto. È nato il mio primo figlio. Ho appena assistito a un miracolo. E ho pianto. Tanto, ridendo, pieno di gratitudine, di amore, di gioia. La stessa identica cosa si replicherà, stupenda, preziosissima, per la nascita della mia bambina. Il pianto ci accompagna da quando nasciamo. Ci cura, ci libera, ci parla.

 

Photo © Jean-Marie LIOT / Prysmian Group

 


 

VENDÉE GLOBE, SETTIMA SETTIMANA: “Natale nel Pacifico, mi regalo carne liofilizzata e fredda. Mio nonno ha fatto la guerra ed è stato bellissimo ricevere da lui in dono il valore che lui ha dato alle cose: questo Giro del mondo mi sta insegnando che tutto è prezioso.”

 

Mercoledì, 23 Dicembre 2020, ore 04.30 UTC
Posizione di Prysmian Group: 55° 37’ 38’’S 173° 14’ 47”E
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord, Nord-Ovest, 12 nodi (22,2 Km/h) raffiche di 16, cielo nuvoloso, altezza onda 1,6 mt con periodo moto ogni 8,6 secondi. Temperatura aria: 8°.Temperatura acqua: 8°.
Luogo abitato più vicino a terra: Invercargill, Nuova Zelanda, 1590 km, in linea d’aria.

Menu del giorno:

  •  Anellini siciliani melanzane e piselli alla norma (di Tiberino)
  • Lenticchie alla marocchina
  • «Fruttini», come in casa chiamiamo le composte di frutta
  • Due thé caldi: nello yogi tea Ginko ho trovato un messaggio: «Everlasting impact with compassion and kindness is called love»
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
La voce dell’Oceano

Sono 44 giorni che navigo per questo Vendée Globe, in questo Vendée Globe. Perché più che in tutte le altre regate, in queste ci si entra dentro. E ti entra dentro. Ti entra dentro attraverso il rumore (che sia quello dei Quaranta Ruggenti, quello dei Cinquanta Urlanti, quello della vela che sbatte senza vento…), attraverso il caldo dell’Equatore e il freddo del Grande Sud, attraverso l’umidità della pioggia, delle onde, dell’aria.

Attraverso la paura che sale a bordo con te alla partenza e aumenta quando senti che qualcuno ha preso un oggetto semi galleggiante.
Questa regata ti entra dentro ad ogni colpo che la barca prende sulle onde. Queste barche sono come trasparenti: lasciano passare ogni rumore, ogni colpo… Quando vai a dormire a volte vieni assordato da fischi del vento che passa tra le sartie, dal rumore delle onde che sbattono sul carbonio e del carbonio che sbatte sulle onde perché la barca ci salta sopra.

I salti della barca

La barca salta in ogni direzione. Sempre, incurante di quello che stai facendo. Non è insensibile: sta semplicemente sopravvivendo in mezzo a un mare ostile. La barca salta mentre sei sdraiato sulla brandina: a volte mi è successo di trovarmi sospeso in aria, completamente in aria, tutto il corpo sollevato dalla brandina.

Il corpo è allora sempre in contrazione muscolare: non riesci mai ad abbandonarti, ti svegli sempre con qualche dolore. Al collo, alla spalla, al fianco… La barca salta mentre mangi: a volte ti salta il cibo dal cucchiaio ed è necessario mangiare con il viso molto vicino alla pentola. La barca salta mentre ti stai cambiando o ti stai lavando, ed è difficile sia restare in equilibrio, appigliarsi a qualcosa, considerando anche lo sbandamento…

Quando vai da sopravvento a sottovento devi fare del free climbing in arrampicata, perché sei sempre con 30 gradi di sbandamento. Il rischio di farsi male è alto. La barca salta anche quando devi fare una mail, facendoti sbagliare 1, 2, 10 volte tasto, perché ti salta la mano, salta il mouse. In questo tipo di barche tutto è un po’ scomodo, tutto è difficile: si muove tutto e ciò che a terra sarebbe semplice, qua diventa assolutamente difficile. Anche in condizioni meno estreme, anche quando il mare è più ordinato.

Spazio di vita minimo

Lo spazio di vita è minimo. All’interno della barca non puoi camminare e non puoi fare una passeggiata, perché non c’è spazio. Dentro è sempre tutto umido a volte accendi il motore per scaldarti. Tutto ciò che è leggermente poroso e non completamente impermeabile, diventa umido. La scomodità, maestra di vita. Queste esperienze, queste scomodità, insegnano tanto. Noi non ce ne rendiamo conto, ma viviamo in una zona di comfort, che è come un cerchio dal quale non siamo abituati ad uscire.

A volte dobbiamo uscire da questa zona e abbiamo subito una reazione: per lo più rifiuto, più raramente curiosità e ricezione. Ma una reazione comune a tutti credo sia che nel momento in cui rientri all’interno del cerchio della tua zona di confort, tutte le cose che hai sempre avuto e della cui importanza non ti sei mai reso conto, le apprezzi: il riscaldamento, la doccia calda, un letto comodo, coperte calde e non umide, un pasto caldo seduto su un tavolo con una sedia, mangiare sotto una lampada e vedere quello che stai mangiando, potersi riscaldare il cibo quando si è raffreddato, poterlo consumare con calma, comodamente seduto, potersi cambiare vestiti quando se ne ha voglia, lavarsi quando se ne ha voglia… sono tutte cose che riteniamo normali.

Il ricordo del nonno

Eppure, ci sono stati tempi in cui non lo sono state, persone per le quali non lo saranno mai, normali, queste cose, questi gesti. E penso alla guerra, di cui oramai sta sparendo la memoria viva, in Italia. E penso a mio nonno che l’ha vissuta e tanto me l’ha raccontata. E penso a chi non può muoversi o non è autosufficiente.

E penso a Axel, il cugino che non ho mai incontrato e che viaggia sempre con me durante le mie regate. E mi rendo conto di aver scelto quasi coscientemente di mettermi in una situazione scomoda e so benissimo che la mia situazione non è paragonabile minimamente a quella di mio nonno o a quella di Axel. Sono loro i veri coraggiosi.

Mio nonno da bambino mi ripeteva sempre, in toscano: «Eh… tu se’ nato con la camicia, te!». Aveva ragione. Lui aveva fatto la guerra, conosciuto le privazioni. Mangiava la carne solo a Natale. Aveva ricevuto solo un regalo nella sua vita, una specie di farfalla collegata ad una ruota che sbatteva le ali. Il pallone con cui giocava era fatto di vecchi cenci (gli stracci toscani).

Un mondo troppo comodo

Il mondo che la vita mi ha messo davanti è diverso dal suo. Troppo comodo. I miei genitori lavoravano entrambi ed io, a differenza di mio padre, non dovevo scaricare le pietre a quindici anni per portare il pane a casa.

Questa comodità ha iniziato presto a starmi stretta, da ragazzino. Mi è diventata presto insopportabile. «Non imparo niente in questo modo… non sarò mai capace di assaporare una crosta di pane e rendermi conto di quanto possa essere preziosa». Come l’acqua. La preziosità di poter bere dell’acqua quando si è assetati…

Le mie necessità basiche non hanno tempi di attesa, vengono soddisfatte in tempo reale. Quanta povertà intravedo in tutto questo. La vita la impari quando sei la sete e non c’è ombra del bicchiere d’acqua. Quando c’è un pane da dividere in 3 persone per tre giorni. Quando vuoi toglierti un capello dalle ciglia e devi chiedere a qualcuno che ti sorregga il braccio. È li la ricchezza. Queste sono le esperienze che rendono l’uomo ricco.

Il valore delle cose

Io questo l’ho imparato da mio nonno che ha fatto la guerra ed è stato bellissimo ricevere da lui in dono il valore che lui ha dato alle cose, a tutte le cose chi aveva, a quelle che avevo io. Vedere la sua scala di valori nei suoi grandi occhi azzurri per me è stato fonte d’ispirazione ed è forse quello che mi ha spinto oggi a prendere questa strada di ricerca dell’estremo.

La grande opportunità di potermi consegnare all’insicurezza, alla paura, alla scomodità, alla nostalgia, alla privazione, la melanconia e poter vivere ognuna di queste condizioni attraverso me stesso, Giancarlo. La grande opportunità di ritrovare e di dare il valore alle cose e ai gesti più scontati.

Siamo noi che decidiamo il valore di ciò che ci circonda. Alcuni lo fanno in maniera naturale. Altri di riflesso. Io ho bisogno di questo. Tra tre giorni sarà Natale, mangerò della carne pensando a mio nonno e anche se sarà liofilizzata e forse dovrò mangiarla fredda e al buio, con il viso dentro la pentola, sarà preziosissima.

 


 

VENDÉE GLOBE, OTTAVA SETTIMANA:La prima volta sull’albero a 27 metri: il test perfetto per un cacciatore di esperienze. L’anemometro rotto, la necessità di ripararlo, una sola via d’uscita: salire in cima all’albero, prenderlo, portarlo giù, farlo funzionare e riportarlo su. Un’avventura al limite, con una mano paralizzata per un attimo ma la mente che non smette mai di lavorare, trovare soluzioni e dare un senso a tutta questa ricerca in pieno Oceano.”

 

Mercoledì, 30 Dicembre 2020, ore 05.00 UTC 
Posizione di Prysmian Group: 54° 48’ 019’’S 123° 31’ 322”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest Nord-Ovest, 21 nodi (38,9 Km/h) raffiche di 33, cielo nuvoloso con rovesci, altezza onda 4 mt con periodo moto ogni 8,4 secondi. Temperatura aria: 6°.Temperatura acqua: 7°.
Luogo abitato più vicino a terra: una stazione spaziale…

Menu del giorno:

  • Bœuf bourguignon (Manzo alla borgognona) e patate
  • Thai red curry vegan
  • Succo di frutta alla mela
  • Un tè caldo
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…
L’anemometro traditore

Circa due settimane fa ho riscontrato delle grosse anomalie nel mio anemometro, posto in testa d’albero. L’anemometro che utilizziamo è uno strumento che capta intensità e direzione del vento (funge quindi anche da anemoscopio). È uno strumento molto delicato, composto da una piccola banderuola di plastica girevole, che segnala la direzione del vento e un sistema a palette che girano in base alla intensità del vento. È uno strumento rischioso da manipolare, perché basta un colpo per disassarlo o romperlo.

Toglierlo e rimetterlo dalla testa d’albero, che è alto 27 metri, quando sei da solo, è molto rischioso. Le informazioni che capta — velocità e direzione del vento — sono quelle sulle quali il pilota automatico si regola per timonare l’imbarcazione al meglio, seguendo le variazioni del vento. Se imposto la rotta a 90° rispetto al vento reale, tutte le volte che il vento gira a sinistra o a destra l’imbarcazione mantiene l’angolo al vento di 90°. Con le vele regolate per navigare a 90° rispetto al vento, la velocità e la traiettoria dell’imbarcazione vengono ottimizzate.

Nel momento in cui il calcolo del vento non è più corretto, affidabile, il pilota non può svolgere il suo lavoro, perché non capta le oscillazioni, le accelerazioni e quindi sbaglia il calcolo del vento apparente, quello che fa avanzare l’imbarcazione. E perdi di velocità. Questo è quello che è successo a bordo di Prysmian Group.

Scalare l’albero

Ci sono stati dei momenti in cui il calcolo era così sbagliato, che dovevo navigare in modalità bussola, che significa dare al pilota la direzione verso la quale andare, senza curarsi delle oscillazioni del vento o di come questo incidesse sulle vele. Una situazione non performante.

A un certo punto è stato necessario farsi coraggio decidere di salire in testa d’albero per togliere l’anemometro. È stata la mia prima vera salita in oceano aperto in testa d’albero da solo su un IMOCA, e ho scoperto che gli allenamenti fatti in porto non sono stati sufficienti.

Ho provato un misto di apprensione, paura, timore. Mi sono fatto coraggio, ho organizzato tutto e chiamato l’organizzazione di regata per dirgli che stavo per salire. E sono salito.

“Ho fallito”

La mia organizzazione non è perfetta, arrivo in testa d’albero tirandomi con le braccia attaccato alla drizza più alta con il mio bansigo e assicurato attraverso un sistema di bloccaggio, il GriGri, e mi accorgo che non mi permette di arrivare a lavorare fino a dove voglio. Mi rendo conto che se arrivo a togliere l’anemometro, dovrò tornare a rimetterlo con un paranco per agganciarmi nel punto più estremo dell’albero e tirarmi ancora più su, per avvicinarmi il più possibile ai bulloni e alla presa dell’anemometro.

Cerco comunque di togliere lo scotch, ma mi rendo conto che ho utilizzato talmente tante energie per arrivare in cima, che se continuassi a lavorare e trovassi qualcosa che non funziona, non avrei più energie per scendere… Ho preso una decisione difficile per me: ho deciso di scendere. E appena sono sceso, mi sono detto: “ho fallito!”

Ma no… non ho fallito, ho fatto esperienza. Ho fatto un’esperienza preziosa, che mi servirà per il seguito.

Un attimo di felicità

Passo tutta la notte a riflettere, non faccio altro che pensare a quanto era successo, ripercorro ogni tappa, ripercorro ogni cima che deve andare su, ripercorro il sistema per non farla incrociare. Vedo il paranco, come lo sistemo nella mia tasca, come lo prendo, come lo sfilo quando arriverò su in testa d’albero, come lo allaccio. Come faccio a tirarmi su, ripercorro ogni dettaglio della manovra…

Mi risveglio, faccio colazione, mangio 250 grammi di pasta, cioccolata, bevo a sufficienza e riparto. Questa volta arrivo su nel punto più alto, riesco a prendere il paranco, riesco a tirarmi, riesco ad arrivare allo scotch che chiude la presa — che, sembra impossibile, è difficilissimo da togliere.

Le mie mani sono ghiacciate, la colla si è ghiacciata. Non riesco a toglierlo e ad un certo punto sono obbligato a rischiare: tiro fuori il coltello e taglio lo scotch lateralmente alla presa, cercando di non rompere i fili. Vado sulla parte plastica della presa, ci riesco, riesco a tagliare lo scotch esattamente nel punto di giunzione di plastica della presa, riesco a srotolarne un pezzo, metto via il coltello, riesco aprire la connessione elettrica della presa.

Un lavoro complesso

È già un successo. Adesso passo ai bulloni. Tiro fuori la chiave, riesco a svitare i due bulloni, ma non riesco a tenere la chiave dall’altra parte per impedire alla testa della vite di girare, quindi lo faccio a mano, ho le mani forti. Riesco a tenere perfettamente la testa della prima vite, e riesco a togliere bullone e vite. Ma non riesco a tenere ferma la seconda vite.

Sono obbligato a tirare fuori la chiave piatta e lavorare a mano nuda sul bullone. Il vento mi scarta a destra a sinistra, sballotto di qua e di là e non riescono a tenere ferma la chiave nella mano sinistra. Dopo 10 minuti, ce la faccio. Altro bullone preso, altra vite tolta. Adesso sembra che ci sia la parte più difficile. Abbiamo messo della resina nell’innesto tra l’anemometro e l’alloggio in testa d’albero per limitare le vibrazioni.

Provo a sfilare lo strumento ma non viene, allora prendo il leatherman e comincio a dare dei colpi come di scalpello sulla parte in cui so che c’è la resina. Con sollievo sento che la resina in più viene via facilmente, mi dico che ce la faccio. Tiro con forza e vedo che comincia a uscire. 

Mi dico che ce l’abbiamo fatta. Estraggo completamente l’anemometro, e me lo metto dietro la schiena. Sento il freddo del materiale che scivola tra la mia base layer e la pelle della mia schiena, sento la freddezza dell’oggetto e questo mi provoca felicità, perché il pezzo è intero e lo sto mettendo nel punto più sicuro: la mia schiena, dietro la testa, leggermente spostato dal casco. In questo modo non rischierà di rompersi sulle sartie nella discesa.

 


 

VENDÉE GLOBE, NONA SETTIMANA: “Ho doppiato il Capo Horn e ho capito che grinta vuol dire resistere. Mi sono ricordato del mio primo giorno da militare di leva: avevo la febbre e vinsi una mezza-maratona»

 

Mercoledì, 6 gennaio 2021, ore 05.45 UTC
Posizione di Prysmian Group: 53° 30′ 14’’S 057° 46′ 12″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest Nord-Ovest, 10 nodi (18,5 Km/h) raffiche di 15, cielo nuvoloso, altezza onda 2,5 mt con periodo moto ogni 10,5 secondi. Temperatura aria: 10°. Temperatura acqua 9°.
Luogo abitato più vicino a terra: Stanley, Isole Falkland, Territorio d’oltremare del Regno Unito,172 km.

Menu del giorno:

  • Risotto basmati ai funghi porcini (Grazie Tiberino!)
  • 5 beans liofilizzato
  • Succo di frutta multifrutta
  •  Due tè caldi
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Ieri notte, alle 2:12 ora italiana, ho doppiato Capo Horn, il punto più a Sud delle Americhe e dei continenti escluso quello antartico, il punto la cui longitudine segna il passaggio dall’Oceano Pacifico a quello Atlantico. Capo Horn è un capo mitico.

Il club

Passarlo ti rende addirittura parte di un gruppo, i «cap-hornien», in francese, che acquisiscono passando questo Capo, strani diritti… Per me Capo Horn è stato un click. Guardavo questo Capo avvicinarsi, lo desideravo, lo volevo. Volevo finire il Grande Sud. Un magnifico, imponente Grande Sud che ho ascoltato per un mese urlare che la natura esiste. Eccome se esiste. Magnifica, poderosa.

Il confronto

Mi sono sentito piccolo e attraversare questo Capo mi ha fatto riprendere la mia dimensione umana. Ma prima di farlo abbiamo dovuto attraversare due depressioni, la prima delle quali non scorderò mai. I suoi venti, la loro densità, la loro direzione, i loro singhiozzi e cambiamenti di umore, mi hanno ubriacato di stanchezza.

Abbiamo dovuto fare innumerevoli bordi, cambiamenti di direzione, lungo la Zona dei Ghiacci – la linea immaginaria che per regolamento non possiamo superare – per cercare il giusto punto dal quale far partire la traiettoria dritta verso la longitudine di Capo Horn e oltre. Le urla degli Oceani, i colpi della barca che sbatte sulle onde, le decisioni, i bordi, i pensieri, il freddo, mi hanno sfinito.

Così mi sono sentito. Finito. Ed è così che ho conosciuto la sopravvivenza, quell’istinto che dà fondo a risorse che sono nascoste dentro di noi e che non sempre sappiamo di avere. La risorsa che ho sentito, venire non so da dove, si chiama grinta. In realtà, pensandoci bene, non è stata la prima volta…

Adesso, dopo aver ritrovato ieri l’assetto della barca che mi è costato varie ore di lavoro tra togliere via via le mani di terzaroli, cambiate via via le vele davanti, andando davanti a prua, barcollando sulla barca instabile sulle onde, adesso, dopo aver brindato con lo champagne, l’Oceano, la Barca e io, adesso mi prendo un momento per chiudere gli occhi e ripensare a quanto è successo. A quanto è successo ogni giorno per oltre 1 mese, e a quanto è già successo, in passato, nella mia vita. La ricerca di quel qualcosa che ti spinge ad andare avanti.

La grinta

Arrivo alla caserma Pepicelli in viale Atlantici 73 a Benevento con un giorno di ritardo, ho avuto la febbre ed iniziare il militare con un giorno di ritardo crea tanti inghippi burocratici. Faccio parte del 198° corso allievi carabinieri ausiliari. Imbottito di aspirina ho la febbre a 37,5, alcuni mi consigliano di marcare visita.

Certo arrivare il primo giorno e marcare visita non depone bene. Non lo faccio. In più con i superiori non è possibile parlare. Ti strillano in faccia come tu fossi uno scemo, fermati a tre passi, presentati così: «Comandi, Allievo carabiniere ausiliare Giancarlo Pedote, terza compagnia, primo plotone, seconda squadra. Comandi!».

Ho la febbre, il tipo con due stelle sulla spalla strilla come un aquila e non ci capisco niente. Scopro dopo poche ore che hanno selezionato alcuni tra i carabinieri per partecipare ad una gara di corsa a piedi, ho la febbre, ma sono super allenato. Da quando ho 14 anni pratico boxe e full contact ho degli incontri al mio attivo e conosco il sacrificio nello sport. Devo incontrare il tenente capo della nostra compagnia e chiedergli di partecipare. Lo vedo che strilla in faccia a tutti come un matto. Finalmente trovo il coraggio.

In gara

Sono vicino alla linea di partenza, non mi scaldo più di tanto, la febbre mi è salita e sono già caldo, il mio cuore batte forte. 5 minuti allo start. Mi avvicino sono nervoso ed ho voglia di esplodere nello stesso tempo.

Via! Scatto subito in avanti, voglio prendere il gruppo di testa e restare agganciato. Il cuore pompa, anche troppo. Sono presto disidratato, non ho acqua con me. Ci sono delle pozze. Volontariamente metto i piedi dentro. Nelle lezioni di chimica frequentate a scuola ho scoperto il fenomeno dell’osmosi e mi dico che potrebbe funzionare. 

I primi 4 km sono duri, ho difficoltà a tenere il passo e sono molto irregolare nel ritmo. La voglia di esplodere ha il predominio su tutto, sono abituato al dolore, a convivere con la sua prepotenza nel corpo umano. Sono diventato capace di spingerlo a spallate e la sua voce imponente arriva fioca al mio orecchio, non mi convince.

Al 15esimo chilometro la stanchezza si fa sentire, comincio a perdere terreno, il secondo dei carabinieri mi raggiunge, un ragazzo alto di Roma. Corriamo spalla a spalla per circa tre km, è pura resistenza al dolore. Ignoralo ripeto dentro di me. Non ascoltare quella voce. Anestetizza. Il cuore batte forte, non sento più la febbre, non sento più niente.

Al 19esimo chilometro lui molla. Credo sia stata la sua mente che non tollerava più il dolore, non il suo corpo. Mi difendo per gli ultimi chilometri e taglio il traguardo nei primi 40 assoluti e primo carabiniere. Ho fiducia in me e capisco che sono capace di lottare per un obiettivo.

Il premio

Il colonnello mi chiama a rapporto per farmi i complimenti e darmi una licenza premio. Entro nella sua stanza ai piani alti. Ho capito come ci si presenta finalmente. Appena entro sbatto il piede per l’attenti nella sua stanza con una brutalità che sento vibrare il pianerottolo: «Comandi, Allievo carabiniere ausiliare Giancarlo Pedote, terza compagnia, primo plotone, seconda squadra. Comandi!»

Vedo la sua faccia infastidita dal mio strillare, mi ripete con voce calma «riposo, riposo». Sono passate 48 h. Sono arrivato con un giorno di ritardo in caserma, ho vinto la mezza maratona tra i carabinieri e mi ritrovo nell’ufficio del Colonnello. La vita è buffa come direbbe Adriano.

Grinta e resistenza

Questa volta non avevo un tenente a urlarmi in faccia. Avevo l’Oceano Indiano prima, e il Pacifico dopo. Non avevo delle pozze nelle quali immergere i piedi per cercare di abbassare la mia temperatura corporea: avevo un motore che accendevo per riscaldarmi ed asciugare i vestiti, le cerate, gli stivali…

Nel Grande Sud non potevo spingere come un matto, dovevo preoccuparmi di un mezzo, perché non corro solo sulle mie gambe e se si rompe il mezzo, finisce facilmente tutto. Ma la grinta è la stessa. Solo che qui si chiama, a volte, resistenza.

 


 

VENDÉE GLOBE, DECIMA SETTIMANA: “La solitudine e i miei altri compagni di viaggio”

 

Mercoledì, 13 gennaio 2021, ore 04.30 UTC

Posizione di Prysmian Group: 23° 41’ 24’’S 034° 34’ 85”W
Condizioni atmosferiche: Vento da Nord-Est, 11 nodi (20,4 Km/h) raffiche di 15, cielo con qualche piccola nuvola, altezza onda 1,5 mt con periodo moto ogni 11,4 secondi. Temperatura aria: 26°. Temperatura acqua: 28°.
Luogo abitato più vicino a terra: Guarapari, comune nello Stato Espírito Santo, Brasile, 692 km. È una delle città che hanno fatto registrare una delle più alte concentrazioni di radioattività naturale del mondo.

Menu del giorno:

  • Fusilli con crema di cime di rapa
  • Pane carasau e patè di melanzane e peperoni
  • Succo di frutta al pompelmo
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

Sono le tre di notte. C’è vento, ma il mare è clemente. Ho regolato la barca. Ho trovato la buona regolazione. Non ci sono più forti colpi sulle onde che fanno saltare tutto. Ci sono i fischi del vento, il rumore della barca che scivola sul mare, i rumori a bordo. Sono al tavolo da carteggio, ho acceso la rete wifi e mi arriva un messaggio. È il gruppo whatsapp degli skipper che partecipano al Vendée Globe. Ci scriviamo. Condividiamo. Ci motiviamo. Ci facciamo compagnia. Resistiamo contro la solitudine.

La solitudine. La solitudine per me è sempre stata una grande opportunità. Da piccolo ero un bambino che amava giocare da solo. Figlio unico, nel silenzio della mia cameretta amavo animare i giochi nel mio immaginario. Crescendo ho sempre cercato di coltivare il bisogno di guardarsi dentro e ho trovato nella solitudine un’alleata in questo. Momenti da solo, viaggi da solo, adesso quest’esperienza. Di solito la solitudine invita l’introspezione, gli dice dove sei e prima o poi te la presenta. Dopo un po’ che sei in compagnia della solitudine, l’introspezione bussa alla tua porta e sta a te decidere se aprirle oppure no.

Puoi farla entrare, e iniziare a guardarti dentro, oppure puoi far finta di non sentirla arrivare, puoi riempirti le giornate di rumore, attività pensieri e non aprirle. Perché guardarsi dentro, veramente, a volte fa male: vedi quello che hai dentro, cose che a volte non ti piacciono e non vorresti avere. Io ho sempre pensato che fosse meglio vedere e sapere piuttosto che nascondersi. Perché solo così è possibile migliorare, crescere come essere umano. Ma ora non voglio parlare dell’introspezione. 

Compagna solitudine

Ora voglio parlare della solitudine e dei suoi compagni di viaggio. Quando la solitudine viene a trovarti, porta con sé numerosi personaggi. Alcuni possono essere utili, come l’introspezione (che è un’insegnante intransigente e severa), altri sono più pericolosi.

Ed è questi che sto cercando di evitare, che tutti gli skipper cercano di evitare parlando spesso tra di loro: la paura, la disperazione, la melanconia… Queste sono compagne di viaggio che, se non sei forte, se non sai come prenderle, possono abbatterti.

Quando ti parla la paura devi sapere riconoscere se ciò che ti dice è reale o no, perché se con una mano ti mostra i rischi e i pericoli che stai vivendo, con l’altra ti porge una lente di ingrandimento che può farti vedere tuttoingigantito. E può abbatterti.

La disperazione è il personaggio al quale non dovremmo mai aprire la porta, perché urla così forte, e così convincente che può disarmarti, può farti sprofondare in un baratro dal quale è difficile uscire, da soli. La melanconia ha un’aria dolce, indossa un vestito romantico. Ti porge la mano e se le segui inizia a condurti in una scala in discesa. Verso il basso, dove puoi incontrare la tristezza e poi la disperazione…

La solitudine

La solitudine è una grande opportunità, ma nel momento in cui l’affronti devi essere forte e motivato. Un conto è affrontarla quando vuoi tu, in piena consapevolezza, un conto è farlo quando sei stanco, fragile. Quando partiamo per un Vendée Globe sappiamo che saremo soli su di una barca per circa due mesi e mezzo. Ma sappiamo anche che abbiamo la fortuna di avere dei mezzi di comunicazione che ci permettono di comunicare a terra e tra di noi skipper.

Potrebbe sembrare che tra cose da fare, contatti a terra, video ed foto da inviare, non ci sia il tempo per sentirsi soli. Eppure non è così. Ci sono stati moment nei nei quali mi sono sentito solo, soprattutto quando, all’altro capo del mondo, avevo un fuso orario completamente sballato rispetto a casa, avevo bisogno di scambiare due parole ma non volevo disturbare. Momenti in cui volevo vedere qualcuno, abbracciare i miei figli. Ci vuole motivazione per convivere con la solitudine, per decide a quale delle sue compagne aprire e dare la mano. Tanta motivazione.

Le mie motivazioni sono l’introspezione, la contemplazione, il voler superare dei limiti, la conoscenza. A volte anche l’amore, a volte anche la solidarietà, e mi riferisco al progetto che gli sponsor hanno legato a questa nostra sfida sportiva per realizzare dei progetti di elettrificazione di aree povere. Grazie Prysmian per questa iniziativa. Io so quanto l’elettricità sia importante. Grazie Prysmian per la motivazione in più che mi avete dato per sopportare la solitudine.

 


 

VENDÉE GLOBE, UNDICESIMA SETTIMANA: “Il momento del panico è arrivato ed ecco come neutralizzarlo. Il motore, indispensabile per produrre energia, è andato in avaria dopo Capo Horn: riavviarlo è stato difficile, con la paura di rimanere senza riferimenti in balia dell’Oceano”

 

Mercoledì, 20 gennaio 2021, ore 04.30
UTC Posizione di Prysmian Group: 12° 30′ 58’’N 35° 14′ 14″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Est Nord-Est, 17 nodi (31,5 Km/h) raffiche di 24, cielo nuvoloso con qualche rovescio, altezza onda 3 mt con periodo moto ogni 14 secondi. Temperatura aria: 23°. Temperatura acqua: 26°.
Luogo abitato più vicino a terra: Nova Sintra, Isola di Brava, Capo Verde
Distanza: 1228 Km.

Menu del giorno

  • Pasta con sugo di pomodorini ciliegino e tanto parmigiano
  • Prosciutto spagnolo e pane carasau (fusion ?)
  • Succo di frutta 100% mela
  • Cioccolata fondente
  • Vitamine
  • Tanta, tanta acqua filtrata con il desalinizzatore…

C’è una cosa della quale non ho parlato, successa dopo Capo Horn. Durante tutto il Grande Sud, ho avuto difficoltà ad accendere il motore. Probabilmente dovute alle basse temperature, alla mancanza di additivi supplementari nel gasolio che potessero aiutare a semplificare la prima combustione, o forse qualche problema di funzionamento delle candelette di preriscaldamento. Fatto sta che, per non prendere rischi, durante tutto il Grande Sud ho acceso il motore ogni 6 ore, senza mai lasciarlo raffreddare. Il motore è un elemento fondamentale di una barca a vela. È vietato usarlo per navigare, ma è indispensabile per ricaricare le batterie. E fornire energia elettrica.

L’energia è fondamentale

Senza energia elettrica, la nostra imbarcazione diventa ingovernabile, diventa un mezzo completamente alla deriva. Senza energia non c’è più pilota automatico, non c’è più comunicazione, non c’è più computer, non abbiamo più la posizione della nostra barca né di quella degli altri, non abbiamo più acqua potabile. Senza energia resta solo il pericolo. Pericolo di navigare alla cieca. I sistemi di ricarica delle batterie sono essenziali, e se anche Prysmian Group è dotata di due idrogeneratori, di cui uno capriccioso e inaffidabile, il sistema di ricarica delle batterie principale, quello senza il quale non è possibile continuare, è il motore. Per risparmiare gasolio, dopo Capo Horn, in un momento di tranquillità ho deciso di utilizzare gli idrogeneratori per 24 ore. In questo periodo, il motore si è raffreddato completamente e quando sono andato ad accenderlo, non partiva. L’idrogeneratore in quel momento non funzionava, perché la velocità della barca non era sufficiente. Quando provavo ad accendere il motore, quando pigiavo quell’interruttore e il motore non si avviava, quando nonostante con tutto me stesso chiedessi al motore per favore di accendersi e lui non lo faceva, lì ho avuto un vero brivido di paura. Una reazione incontrollabile di disperazione, oscurità e paura tutta mischiata insieme, non causata dalla possibilità di perdere la vita, ma da una possibilità che mi ha mostrato in quel momento la vita: la possibilità di non terminare la regata. In quel momento ho sentito tutto il carico di energia investita in questo progetto, da parte mia, da parte degli sponsor, da parte di tutti coloro che hanno lavorato e che lavorano con me. Vedere vacillare tutto, ha generato in me una specie di Corto Circuito cerebrale. Finalmente, fortunatamente, il motore è partito e di questo è rimasto soltanto un grandissimo spavento. E quello spavento, un po’ come la madeleine inzuppata nel tè di cui parlava Proust in «Alla ricerca del tempo perduto», ha riportato alla memoria il ricordo del panico, dell’unica volta in cui l’ho vissuto. Il mio primo e per ora unico panico.

Il mio primo panico

Ho sette anni, sono seduto nei sedili posteriori della Giulietta di mio padre, torniamo a casa dopo essere stati a trovare degli amici di famiglia. Mio padre parcheggia, scendo dall’auto con mia madre che mi prende per mano per attraversare. Passa un motorino con due persone a pochi centimetri da noi ed a mia madre viene scippata la borsa. Il mio corpo si irrigidisce e si pietrifica. Ricordo il rumore del motorino, l’urlo di mia madre, vedo mio padre che scatta per rincorrerli, ricordo il profumo degli interni della Giulietta, l’odore della miscela bruciata del motorino che accelera a tutta velocità. Sono la disperazione di mia madre, la rabbia di mio padre e la mia pietrificazione al tempo stesso. È stato lì che ho incontrato per la prima volta il panico, che gli ho stretto la mano per conoscerlo. Ero solo un bambino e mi ha colto di sorpresa. La paura gli ha aperto la porta e lui si è impossessato di me in mezzo istante. Da quel giorno l’ho più rivisto, ma in questo viaggio che è il Vendée Globe ho rivissuto in memoria, la sensazione che provai e che so avrei potuto provare. Perché il panico accompagna sempre la paura, ci prova sempre a venire a trovarti. Il panico lo classifico come una paura talmente grande che immobilizza, non permette di aggiungere altro. Cristallizza e pietrifica. Quando il panico ti invade rimani immobilizzato, senza nessuna possibilità di agire, perso nei tuoi pensieri agitati più di un Oceano in tempesta. Quando il motore non funzionava, non ho dato il tempo al panico di venire a bussare alla mia porta: sono passato subito all’azione. Ho chiamato la persona del mio team che a terra è responsabile del motore nonché i tecnici dello stesso produttore del motore, che si sono attivati subito e con i quali subito abbiamo cominciato a fare delle ipotesi fino a trovare una soluzione.

 


 

VENDÉE GLOBE, L’ULTIMA SETTIMANA: “La lezione più grande? Si impara solo uscendo dalla zona di comfort. Dopo questa esperienza sarò più capace di assaporare ciò che mi sembra normale e scontato. Ma continuerò a uscire in cerca di esperienze al limite.”

 

Venerdì, 29 gennaio 2021, ore 09.44 orario italiano
Posizione di Prysmian Group: 44° 32′ 77″N 001° 36′ 73″W
Condizioni atmosferiche: Vento da Ovest, 18 nodi, raffiche di 29, cielo sgombro, ma di un colore leggermente grigio… altezza onda 3,3 mt con periodo moto ogni 11,6 secondi. Temperatura aria: 11°.
Luogo abitato più vicino a terra: Les Sables d’Olonne
Distanza: 0 Km

Colazione

  • Uova al tegamino cucinate da Aurelio
  • Pane al forno, cotto da Isabella
  • Caffé
  • Acqua naturale… non desalinizzata

Venerdì scorso, di notte, dovevo contornare il grosso centro di alta pressione che avevamo davanti: l’ultimo centro importante di bonacce prima di entrare nel regime depressionario che ci ha poi accompagnato fino a Les Sables d’Olonne.
Venerdì scorso, di notte, la maggior parte delle persone in Europa dormiva ed io ero sveglio a regolare continuamente la barca per cercare di metterla su foil e farla così cominciare a navigare nei suoi target.
Venerdì scorso notte, il mare era calmo, la temperatura di circa 22 °.

Una cosa sola col mare

Ricordo che mentre ero concentrato sulla navigazione, perché sapevo di non essere al pieno delle potenzialità della barca, per un attimo mi sono guardato intorno e ho visto. Il cielo stellato, la scia, che non era violenta come spesso è, ma morbida. E queste stelle, questa scia ipnotizzante, hanno accompagnato la mia mente a abbandonarsi alla riflessione sulla vita. Un momento prima di abbandonarmi, mi sono sentito tutt’uno con questo mondo che mi circonda, tutt’uno con il mare, con la barca, con il cielo e con il vento.

Sono sensazioni rare perché in questa regata la stanchezza ci mantiene sempre in uno stato di sopravvivenza. Ma ogni tanto capitano momenti come questi. Capitano queste sensazioni. E quando succede bisogna impadronirsene, riconoscerle e viverla a pieno. Bisogna respirarle, perché sono ciò che fanno la bellezza di questo genere di esperienze.

Le esperienze

Il mio pensiero è andato alla vita. La vita. La vita è questo dono che ci viene fatto in modo così inspiegabile: non sappiamo perché viviamo, veniamo qua sulla Terra senza libretto d’istruzioni, non sappiamo da dove arriviamo sulla Terra e non sappiamo dove andiamo una volta che la nostra vita sulla Terra raggiunge la sua fine.

Il mistero della vita è qualcosa che mi ha sempre affascinato fin da bambino. Il mistero della vita, il mistero dell’universo, sono temi sui quali mi è sempre piaciuto riflettere e probabilmente è per questo che ho scelto di studiare filosofia. Tra domande, riflessioni, suggerimenti e intuizioni, una cosa è sempre stata certa per me: la vita l’ho sempre interpretata come qualcosa da utilizzare, non da conservare.

Ed è per questo che mi sono sempre interessato alle esperienze. Ed è per questo che probabilmente, oggi, mi trovo qui.

 


 

FONTI:

Originariamente pubblicato su Corriere della Sera (Corriere.it). Grazie ad Arianna Ravelli, Gaia Piccardi e alla Direzione del Corriere.it.

 

 

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