Sono passati poco più di tre anni dalla conclusione del Vendée Globe 2020, una delle gare più
impegnative al mondo, e ancora provo una sensazione positiva, come se avessi raggiunto un
obiettivo immenso che cercavo da diversi anni.
L’8 novembre 2020, dopo un anno e mezzo di preparazione, ho iniziato quell’avventura che mi ha
cambiato come uomo, come atleta, come navigatore. Il mio obiettivo era completare il giro del
mondo in solitario senza scali: ho sempre considerato il Vendée Globe, una regata mitica, una
sfida non dell’uomo contro il mare, ma dell’uomo con sé stesso e le sue paure. Per questo volevo
farlo, con tutto me stesso. Dopo 80 giorni, 22 ore, 42 minuti e 20 secondi, ho tagliato il traguardo.
E così, ho dato un senso a tutti i sacrifici fatti: le notti dormite nel furgone per potermi comprare il
primo Mini, le notti passate in barca per sorvegliare che non le succedesse nulla a causa del
maltempo…
Completare questa gara ha rappresentato per me qualcosa difficile da spiegare. Il Vendée Globe
non è solo una competizione, è un’esperienza estrema che mette alla prova resistenza,
determinazione e abilità di navigazione. Che insegna tanto all’uomo e al navigatore. Fiducia,
preparazione, adattamento, previsione. Tutti insegnamenti raccolti in uno zaino che mi porto sulle
spalle e che saranno gli strumenti per il prossimo Vendée Globe, che partirà il 10 novembre di
quest’anno.
Due settimane dopo la fine della gara, avevo già rivolto completamente il mio sguardo al futuro,
con l’obiettivo di costruire su questi risultati il mio Vendée Globe 2024.
Questa regata attrae tante persone perché è una gara lunga, solitaria, estrema, dove si naviga a
latitudini normalmente inaccessibili, riservate solo alle competizioni.
È unico.
Navigare in quelle acque così lontane, ora mentre scrivo, richiede tante cose senza le quali è
impossibile completare il giro del mondo. Una di queste è indubbiamente un pilota automatico
affidabile e ben tarato: non è possibile timonare 24 ore su 24, perché navigare in solitario significa
doversi occupare di tutto. Della barca, della navigazione, dell’uomo.
Ricordo che la consapevolezza dell’importanza di questo elemento, nella solitudine di una
navigazione così lunga, si è trasformata in gratitudine nei confronti di questo “copilota bionico” che
non si stanca mai, un compagno a cui affidarmi nei momenti di riposo o durante le manovre e lo
studio della mateo.
Il tempo trascorso al timone è davvero limitato, meno del 10% del totale. In caso di blackout totale,
senza energia o strumenti, la gara è finita. La priorità diventa semplicemente salvare la propria
vita. Una barca come quella senza energia e strumentazione è ingovernabile.
E per questo che, a poco più di 9 mesi dal via della prossima edizione, ora che la barca è ancora
in cantiere, penso a quanto sia importante che il pilota automatico sia in perfetta efficienza. In
realtà tutto ciò da cui lui dipende deve essere in perfetta efficienza. Ma diciamolo serenamente:
tutto deve essere in perfetta efficienza, perché un giro del mondo non si improvvisa. Né la prima,
né le volte successive.
L’esperienza del Vendée Globe non è solo un progetto concluso con successo: è anche un punto
di partenza per fare meglio, per andare oltre. Questa è la mia natura di sportivo, di agonista.
Lanciarmi sempre verso un nuovo obiettivo, un obiettivo vissuto in maniera differente: questa volta
di diverso ci sarà una maggiore consapevolezza delle potenzialità dei pericoli, degli imprevisti ma
anche della meraviglia che sarà questo nuovo percorso dentro di me, con la mia barca e le mie
emozioni di essere umano. E di differente ci sarà l’obiettivo, che mi tengo dentro, fisso davanti a
me.